martedì 21 giugno 2011

Bernard Malamud

Personaggi che hanno davanti i rimasugli senza vita di vecchi sogni e a cui restano poche pretese, che però difendono fino alla morte, come Kessler, l’inquilino di Lamento funebre. Personaggi rosi da qualche tormento (quello della scrittura in particolare) come il protagonista che insegue La ragazza dei miei sogni. Spiccioli di vite, nel Lower East Side, dove passano le giornate in piccoli negozi, luoghi pubblici in cui prende forma, attraverso umili lavori che vanno avanti per inerzia, una lingua che si snoda in frasi brevi, secche e brucianti e dialoghi che non lasciano speranze. Adatta alla durezza degli eventi, dei tempi e dei luoghi. Anche in scenari diversi da New York, come i paesaggi italiani, il lago Maggiore, Roma, “Roma, città di perpetua sorpresa, gli aveva fatto una brutta sorpresa”, i personaggi di Bernard Malamud sono attorcigliati alle proprie sconfitte, a partire dalla famiglia di Ecco la chiave, cronaca di agghiaccianti “vacanze romane”. L’amarezza è il tratto comune a tutti e un volto dopo l’altro i protagonisti delle short stories di Bernard Malamud vanno a formare un’umanità dolente, affranta, indecisa, tenuta insieme dal dolore, imprigionata negli errori e nei sotterfugi. Dalla bambina cleptomane di Abbi pietà al finto studioso di Un’estate di letture, Il barile magico è una fonte inesaurible di storie che sono l’elemento primario della scrittura di Bernard Malamud: “Storie, storie: per me non esiste altro. Spesso gli scrittori che non riescono a inventare una storia seguono altre strategie, perfino sostituendo lo stile alla narrazione”. D’altra parte, sostiene sempre Bernard Malamud “le storie ci accompagneranno finché esisterà l’uomo. Lo si capisce, in parte, dall’effetto che hanno sui bambini. Grazie alle storie i bambini capiscono che il mistero non li ucciderà. Grazie alle storie scoprono di avere un futuro”. Per lui, per gli uomini e le donne che allinea Il barile magico il tempo è spesso declinato al passato perché, come dice Isabella, alias La dama del lago, “Noi siamo ebrei. Il mio passato ha un senso, per me. Faccio tesoro di ciò per cui ho sofferto”. L’esistenza tutta è una concessione limitata, e anche se “il compimento è nel futuro”, Il barile magico brucia le storie nell’irrimediabile presente mettendo all’angolo tanto i personaggi quanto il lettore, due figure che nelle sue storie spesso coincidono. Se, nella fiction, la lettura diventa una consolazione (come succede con Manischevitz, il sarto in L’angelo Levine: “Non leggeva veramente, perché i suoi pensieri erano altrove; però i caratteri stampati offrivano ai suoi occhi un comodo luogo di riposo, e qualche parola qua e là, quando lui si concedeva di comprenderne il senso, aveva l’effetto momentaneo di aiutarlo a dimenticare le sue disgrazie”) in realtà la scrittura è ruvida, aspra, una frustata dopo l’altra: usando la velocità delle short stories in modo perfetto, senza sprecare una parola, Bernard Malamud non ha esitazioni a trascinare il lettore nei bassifondi della vita.

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