giovedì 24 febbraio 2011

Steve Erickson

Scampata persino ad un suicidio di massa in nome della fine del secolo, Kristin è in fuga da sempre, anche se non le è chiaro da chi o cosa scappa, se non dal proprio passato. E' evidente fin dalle prime pagine di Il mare arriva a mezzanotte che “il motivo per cui continuava ad andare avanti era solo che non c'era nulla, dietro, verso cui potesse tornare”. E’ allo stremo, senza soldi, affamata e infreddolita, e anche un annuncio folle e per niente rassicurante su un giornale gli appare come una possibilità, un letto, magari un pasto caldo. Conoscerà così l’Occupante, un uomo con troppi demoni alle spalle e una sola ossessione: il Calendario Apocalittico, ovvero un reticolo di date ed eventi che secondo la sua personale allucinazione dovrebbe rappresentare il tempo o una mappa del tempo o il tempo dei sogni o chissà. Kristin e l’Occupante, con le relative storie, sarebbe sufficienti a capire perché Thomas Pynchon ha detto di Steve Erickson che “ha il dono raro e luminoso di saper trascrivere il lato notturno della realtà” e invece sono soltanto l’inizio: Il mare arriva a mezzanotte si contorce spirale dopo spirale, con le vite dei personaggi che si avvitano una dentro l'altra, quasi a formare un'impossibile famiglia dispersa ai quattro angoli del mondo. Da New York (con contorno di snuff movie) a Parigi (che, visto anche Arc d’X, deve essere una città particolarmente cara a Steve Erickson), dalle colline di Los Angeles a Tokyo: ossessioni, dolori, paure pesano sui protagonisti che sembrano vagabondare senza meta rincorrendo ricordi o sogni o tutti e due perché “un sogno è un ricordo del futuro”. Steve Erickson non rende soltanto chiara la geografia dei percorsi, svelando la trama sottilissima che lega tutte le singole esistenze, ma evidenzia i fatti, ogni singolo gesto, le manie e le abitudini mettendo il lettore in condizione di capire che “le cose non accadono mai al rallentatore, come dice la gente. Accadono molto più rapidamente di quanto la gente possa comprendere, ed è solo il ricordo che si svolge al rallentatore”. Il disegno di Il mare arriva a mezzanotte si completa soltanto alla fine (o si pazienta, o ci si lascia travolgere dagli eventi: altre possibilità non ci sono) quando tutte le sequenze sono ormai allineate come fotogrammi immobili e diventa intelligibile la natura intima della scrittura di Steve Erickson che ha quasi un dono profetico quando dice: “Supponiamo che potessi rifare tutto da capo, cambiando tutto. Se mi fossi abbandonato un po’ di più alla fede e un po’ meno alla visione, se potessi riprendermi indietro la prima menzogna che ha spezzato un cuore, se cercando un risultato più piccolo potessi ottenere qualcosa di più grande, se non avessi fatto tutto quello che ho fatto, e se avessi fatto tutto quello che non ho fatto”. E’ una narrativa libera dalle rigidità di schemi, linguaggi, teorie e già con Il mare arriva a mezzanotte si propone come una delle più spiazzanti, acute e visionarie possibilità che il romanzo, in generale, ha davanti per il suo futuro.

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