La composizione antologica di Stranger Music è stata un primo tentativo di affrontare per esteso l’enorme massa scaturita dalla scrittura di Leonard Cohen. Contiene canzoni, poesie, parti di Beautiful Losers. Il disordine è compreso nel prezzo, ma l’idea di offrire una panoramica completa resta più che apprezzabile, per quanto limitata. Rispetto alla “politica di questo libro” serviranno altri approfondimenti e altre analisi, ma l’assembramento di Stranger Music, pur datato (risale al 1993), mantiene una sua magia e una sua peculiare intensità nel sovrapporre e mescolare songwriting e scrittura tout court. L’elenco nel dettaglio allinea i brani scritti per gli album fino a The Future, le raccolte poetiche (tra cui Le spezie della terra, Fiori per Hitler, Parassiti del paradiso, Libro della misericordia e L’energia degli schiavi). Seguendo la natura propria di Stranger Music, tanto vale procedere per tentativi casuali ed ecco riapparire Hank Williams in Tower of Song a cui Leonard Cohen chiede “Quanta solitudine ci si può mettere? (Hank Williams Non ha ancora risposto ma lo sento tossire tutta la notte, cento piani sopra di me nella torre della canzone)”, le prospettive di Non mi sono attardato in monasteri europei, (“Anche se l’ho osservato spesso, non sono diventato l’airone”) o Un aquilone è una vittima (“Un aquilone è un contratto di gloria da firmare con il sole, perciò ti fai amici il campo, il fiume e il vento e poi preghi tutta la fredda notte precedente, sotto la luna viaggiatrice senza spago, di renderti degno e lirico e puro”), l’epiteto in Travestimenti (“Mi consolate incorreggibili traditori di voi stessi, quando saluto la moda e faccio sì che la mia mente come una hostess di facili costumi che distribuisce paracadute durante una picchiata a candela faccio sì che la mia mente straziata guardi in faccia la realtà”). Volendo, si può trovare un passaggio emblematico nella sequenza tra I Can’t Forget (“E non riesco a dimenticare, non riesco a dimenticare, non riesco a dimenticare, ma non ricordo che cosa”) ed Everybody Knows (“Lo sanno tutti che i dadi sono truccati. Tutti li fanno rotolare con le dita incrociate. Lo sanno tutti che la guerra è finita. Lo sanno tutti che i buoni hanno perso. Lo sanno tutti che il combattimento era combinato: i poveri restano poveri, i ricchi diventano più ricchi. Così vanno le cose. Lo sanno tutti”), per concludere con l’ammissione, da qualche parte nel flusso inarrestabile di Stranger Music, “che l’unica vera esperienza dell’essere umano sia la sconfitta. Occasionalmente conosciamo un trionfo, raramente solleviamo la testa per salutare una vittoria. La vita è sconfitta, impotenza, ma non annullamento”. Ma ovunque venga girata la pagina, Leonard Cohen snocciola mitologie, magniloquenza, sogni, lotte, desideri, e una gentilezza tutta sua. Nonostante l’indecifrabile organizzazione, che segue solo un blando schema cronologico, in Stranger Music si ha l’impressione di assistere a una cerimonia riservata ai professionisti, come scrive in Modelle parigine, anche se Leonard Cohen è sempre sibillino quando si tratta di considerare la scrittura. Lo si vede in La ragione per cui scrivo (“La ragione per cui scrivo è produrre qualcosa bello come te”), in Dono (“Mi dici che il silenzio è più vicino delle poesie alla pace, ma se in dono ti portassi silenzio (perché conosco il silenzio) diresti Questo non è silenzio è un’altra poesia e me lo restituiresti”), o in Un tamburo differente (“In fatto di lamenti, preferisco Aretha Franklin a, diciamo, Leonard Cohen”). Fino ad ammettere, così, en passant, che “in questo libro c’è una certa energia che non può essere negata” e va da sé che Leonard Cohen rimane “la nostra spia più importante”, se non altro per i versi iniziali di First We Take Manhattan (“Mi avete condannato a vent’anni di noia per aver tentato di cambiare il sistema dall’interno”) che restano insieme un monito e una profezia.
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