lunedì 8 ottobre 2018

Anne Michaels

Lettrice onnivora e osservatrice attenta, coltissima, erudita, Anne Michaels in Quello che la luce insegna pare dialogare con i suoi eroi e non si risparmia nell’evocare nelle epigrafi, nei versi, ovunque trovi la possibilità di incastonare il loro nome, Rainer Maria Rilke, Bertolt Brecht, Osip Mandel’štam, Marina Cvetaeva, W. H. Auden o Fëdor Dostoevskij o anche John Berger, richiamato in Profondità di campo. È una scelta di campo, un riconoscersi in un’identità poetica che trova la sua prima casa in Sublimazione: “Noi siamo la melodia e l’accento di un verso, la tensione cantante della poesia in ogni filo nero di parole, e fra il primo e l’ultimo verso. Noi siamo l’angolo di luce che brucia l’acqua, il punto di intersezione che crea prospettiva”. L’identificazione musicale è pertinente alla fragranza dei versi di Anne Michaels che, in Parole per il corpo, è inequivocabile nel ricordare come “abbiamo deciso che la musica è memoria, nel modo in cui parola è la memoria del suo significato”. Il ricco assioma viene srotolato e circumnavigato da Quello che insegna la luce con grazia, decisione e con la convinzione che “l’arte emerge dal silenzio; il silenzio, dal posto di ciascuno nel mondo”. È importante anche ciò che non si sente nella poesia di Ann Michaels e, a volte, diventa preponderante quello che si vede, perché, come scrive in Lago dei due fiumi, “più a lungo guardi a una cosa, più la cosa si trasforma”. Ci si arriva “per accumulo”, con un florilegio d’immagini, un insistente scorrere d’acque: dal fiume che “è una lingua sciolta, un canto popolare” e  “di notte scendiamo ad ascoltare”, alla sua naturale destinazione, In arrivo, dove “c’è terra che non lascia mai le tue mani, pioggia che non lascia mai le tue ossa. Parole così vecchie che si staccano da noi, perché possono solo essere staccate. Loro non si lasceranno andare, perché un pezzetto d’amore si è staccato dall’amore, come pietrisco dalla pietra, pioggia dalla pioggia, come il mare dal mare”. L’idea del sedimento viene elaborata e riproposta in continuazione finché, con Stagno del minatore, Anne Michaels giunge a pensare che “la memoria è selezione cumulativa. È un cavo sottomarino che connette un continente a un altro, elettrico nella salsedine della distanza”. Si tratta di una concezione molto dinamica che ritorna, ancora in forma di vibrazione urticante, in La luna dell’altra notte (“Di notte, la memoria ti percorrerà la pelle. I tuoi sogni riveleranno il mondo brulicante, sotto la pietra alzata”) e contribuisce a generare la cognizione definitiva che “noi non discendiamo, affioriamo dalle nostre storie”. Inanellandosi uno con l’altro i versi di Anne Michaels danno forma e sostanza a una vasta comunità di intenzioni e Quello che insegna la luce è che la poesia può ospitare un caleidoscopico balletto di spettri: “volti di spiriti affollati ai finestrini di una Buick del ’64”, la commovente storia dei coniugi Curie (“Ogni cosa che tocchiamo incenerisce, sia che diamo noi stessi o che non ci diamo, lo stesso giorno d’aprile si spande rarefatto, lo stesso pomeriggio invernale si addensa in buio”), Walter Benjamin in esilio, Charles Darwin, che “era stato via cinque anni ma la terra era invecchiata di milioni”, e tutti rispondo all’appello perché “la lingua è il modo dei fantasmi di penetrare il mondo”. L’eleganza della poesia di Anne Michaels, che in Quello che insegna la luce trova qualcosa in più di un efficace excursus antologico, sta tutta nel rispetto di una sequenza quasi matematica (musica, memoria, parola, silenzio) che tra le variabili comprende il tempo (“Una volta pensavo che noi fuggiamo dal tempo, scomparendo nella bellezza. Ora vedo che è il contrario. La bellezza rivela il tempo”) e la lingua (“La verità è il perché del fallimento delle parole. Noi possiamo rivelare solo con un profilo, segnando con un cerchio l’assenza. Ma questo è perché la lingua può ricordare la verità quando non è parlata”), elementi irrinunciabili di una ricerca lirica accurata, profonda e molto generosa.

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