Sia
Anita che Tom sono nella valle del Niger in cerca di una via
d’uscita. Tom, un pittore, vuole trarre ispirazione dalla vita e
dai paesaggi subsahariani. Anita si è lasciata alle spalle New York
e un divorzio e l’ha raggiunto per ritrovare uno scampolo di
equilibrio. Fratello e sorella sono molto simili negli atteggiamenti,
entrambi misurati e guardinghi, ma distanti nella condizione
psicologica. Tom si destreggia con il suo momento artistico e si è
ambientato quel tanto che basta da evitare attacchi di nostalgia. E’
Anita che è Troppo lontano da casa:
soffre la sua personale situazione non meno delle condizioni
ambientali, igieniche, atmosferiche e (più di tutto) culturali. Tom
e Anita sono completati nell’economia della storia dal personale al
loro servizio, Sekou e la cuoca Johara, quasi un loro riflesso,
indigeno e speculare. Un giorno, per scuotere Anita dalla malinconia,
Tom le chiede di farsi accompagnare da Sekou a comprare delle
pellicole, dall’altra parte del villaggio in cui vivono, non
lontano da Timbuctu. Anita e Sekou hanno un incidente: vengono
investiti da una moto con due turisti americani, sprezzanti e
spericolati. In apparenza, salvo una ferita per Sekou, non ci sono
particolari conseguenze, ma da lì la trama di Troppo
lontano da casa comincia ad
avvitarsi e a caricarsi di tensione. Anita è costretta a
confrontarsi con i propri incubi, e nonostante le rassicurazioni del
fratello (“Semplicemente non c’è alcun collegamento fra il
contenuto del sogno e il perché tu credi di farlo”), non riesce a
pensare che ad andarsene, finché il complesso quadrilatero emotivo,
che vede Tom, Sekou e Johara agli altri angoli, non viene scardinato
dalla presenza di madame Massot. In effetti, nel gioco a incastri
studiato da Paul Bowles, madame Massot, (di origine francese, come si
può intuire), proprietaria del negozio di fotografia, è la via di
mezzo tra le consuetudini locali e i modelli di vita occidentale.
Forse più un racconto lungo che un romanzo breve, Troppo
lontano da casa, è un piccolo
marchingegno narrativo che funziona alla perfezione nell’angusto
spazio che si è definito. Paul Bowles l’ha studiato come un
cronometro di precisione, in cui ogni minuscola leva, ogni
microscopico ingranaggio scatta e si muove al momento giusto. Il
metodo l’ha spiegato in Senza mai
fermarsi, la sua colorita
autobiografia: “Diciamo che partivo con quattro frammenti di genere
disparato, aneddoti, citazioni o semplici frasi prive di alcun
contesto, racimolati da fonti distinte e che riguardavano gruppi di
personaggi completamente diversi. Il mio compito consisteva
nell’inventare un tessuto narrativo che fondesse tutti e quattro
gli elementi originali attribuendo a ognuno lo stesso ruolo di
sostegno rispetto alla struttura risultante dalla loro somma”.
Nelle pagine iniziali, usando persino una forma epistolare, poi
delineando i personaggi con semplici accorgimenti, e molto mestiere,
e definendo il paesaggio con rapidi e significativi tratti, riesce a
far emergere i contrasti, a volte molto aspri, mettendoli in rilievo
con un’arguzia speciale, frutto dello spirito di osservazione e
della spontanea curiosità di Paul Bowles, più che dell’invenzione
narrativa. Un bell’esercizio di stile, efficace ed elegante.venerdì 15 settembre 2017
Paul Bowles
Sia
Anita che Tom sono nella valle del Niger in cerca di una via
d’uscita. Tom, un pittore, vuole trarre ispirazione dalla vita e
dai paesaggi subsahariani. Anita si è lasciata alle spalle New York
e un divorzio e l’ha raggiunto per ritrovare uno scampolo di
equilibrio. Fratello e sorella sono molto simili negli atteggiamenti,
entrambi misurati e guardinghi, ma distanti nella condizione
psicologica. Tom si destreggia con il suo momento artistico e si è
ambientato quel tanto che basta da evitare attacchi di nostalgia. E’
Anita che è Troppo lontano da casa:
soffre la sua personale situazione non meno delle condizioni
ambientali, igieniche, atmosferiche e (più di tutto) culturali. Tom
e Anita sono completati nell’economia della storia dal personale al
loro servizio, Sekou e la cuoca Johara, quasi un loro riflesso,
indigeno e speculare. Un giorno, per scuotere Anita dalla malinconia,
Tom le chiede di farsi accompagnare da Sekou a comprare delle
pellicole, dall’altra parte del villaggio in cui vivono, non
lontano da Timbuctu. Anita e Sekou hanno un incidente: vengono
investiti da una moto con due turisti americani, sprezzanti e
spericolati. In apparenza, salvo una ferita per Sekou, non ci sono
particolari conseguenze, ma da lì la trama di Troppo
lontano da casa comincia ad
avvitarsi e a caricarsi di tensione. Anita è costretta a
confrontarsi con i propri incubi, e nonostante le rassicurazioni del
fratello (“Semplicemente non c’è alcun collegamento fra il
contenuto del sogno e il perché tu credi di farlo”), non riesce a
pensare che ad andarsene, finché il complesso quadrilatero emotivo,
che vede Tom, Sekou e Johara agli altri angoli, non viene scardinato
dalla presenza di madame Massot. In effetti, nel gioco a incastri
studiato da Paul Bowles, madame Massot, (di origine francese, come si
può intuire), proprietaria del negozio di fotografia, è la via di
mezzo tra le consuetudini locali e i modelli di vita occidentale.
Forse più un racconto lungo che un romanzo breve, Troppo
lontano da casa, è un piccolo
marchingegno narrativo che funziona alla perfezione nell’angusto
spazio che si è definito. Paul Bowles l’ha studiato come un
cronometro di precisione, in cui ogni minuscola leva, ogni
microscopico ingranaggio scatta e si muove al momento giusto. Il
metodo l’ha spiegato in Senza mai
fermarsi, la sua colorita
autobiografia: “Diciamo che partivo con quattro frammenti di genere
disparato, aneddoti, citazioni o semplici frasi prive di alcun
contesto, racimolati da fonti distinte e che riguardavano gruppi di
personaggi completamente diversi. Il mio compito consisteva
nell’inventare un tessuto narrativo che fondesse tutti e quattro
gli elementi originali attribuendo a ognuno lo stesso ruolo di
sostegno rispetto alla struttura risultante dalla loro somma”.
Nelle pagine iniziali, usando persino una forma epistolare, poi
delineando i personaggi con semplici accorgimenti, e molto mestiere,
e definendo il paesaggio con rapidi e significativi tratti, riesce a
far emergere i contrasti, a volte molto aspri, mettendoli in rilievo
con un’arguzia speciale, frutto dello spirito di osservazione e
della spontanea curiosità di Paul Bowles, più che dell’invenzione
narrativa. Un bell’esercizio di stile, efficace ed elegante.
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