Comincia
con una danza di spettri, poi i primi capitoli introducono in una
twilight zone in cui il potere della narrativa è nello stesso tempo
esaltato e sbeffeggiato. In una sorta di limbo, sospeso tra l’aldilà
e un ultimo appiglio alla vita terrena, una bizzarra compagine di
personaggi assiste all’arrivo del figlio di Lincoln e al primo anno
della guerra civile americana. L’aneddoto storico (straziante) è
la scintilla che fa deflagrare un convivio surreale, ma non così
assurdo: è come il frammento di una Divina Commedia anarchica
e burlesque, dove rimangono tutti invischiati nella stessa terra di
nessuno. La dimensione è vacua perché, come dice e ripete Hans
Vollman, “esiste da sempre molta confusione in merito a questo
problema”. A sua volta, il reverendo Everly Thomas chiama la loro
condizione (non senza ragione) la “forma malata”. La conclusione
spetta a Roger Bevins III che, lapidario, spiega: “Prima eri lì in
quel vecchio posto e adesso stai qui in questo nuovo posto”. Sono
loro tre i più fervidi commentatori e le pagine appaiono come il
proscenio di un medicine show con la regia occulta di Shakespeare, in
cui gli attori vanno e vengono guidati dalla profana e loquace
trinità. Tra gli altri, bisogna ricordare almeno Lippert, Kane,
Fuller, gli “scapoli” che nei momenti salienti fanno piovere
cappelli come un quadro di Magritte. La condizione indefinita degli
ospiti, l’aspetto laico (convinto) con cui Lincoln nel Bardo
ritrae la delicata dimensione del passaggio, le “realtà
transitorie”, un ossimoro perché non sono realtà, e sono
piuttosto definitive, riportano tutto a evocare “quella gran cosa”
come la chiamava Henry James (che qui ci asteniamo dal nominare un
po’ per pudore, visto che non è citata apertamente fino a metà
romanzo, e un po’ per scaramanzia). In questo senso Lincoln nel
Bardo si può interpretare anche come un’Antologia di Spoon
River distorta e allucinata: George Saunders gestisce una
cacofonia di voci con ineguagliabile destrezza, senza perdere di
vista nemmeno per una singola frase per l’intera dimensione del
romanzo. Il tono di sfida ai limiti della scrittura è implicito ed
esplicito. L’incertezza si fa disorientamento, il disorientamento è
propedeutico ad alzare la soglia dell’attenzione e l’irriverenza
è inclusa nel prezzo perché nelle profondità di Lincoln nel
Bardo non viene risparmiato niente e nessuno e difficilmente si
trova una frase consolatoria: scuote con una pioggia di domande e di
affermazioni apodittiche, sempre con un robusto ghigno sulle labbra.
La sfida alle biografie e alle agiografie è coerente ed evidente. La
figura di Lincoln emerge tormentata e contraddittoria: un uomo
travolto dal dolore che convince un'intera nazione a sopportare anni
orribili di guerra, di massacri, di distruzione, di alterazione dei
diritti, la sospensione di fatto dell'habeas corpus, e nonostante
tutto non cede fino alla fine (la sua). “Ero amato o no?”, si
chiede Lincoln, ma è soltanto uno degli interrogativi di un lavoro
di scomposizione del romanzo e insieme degli avvenimenti storici che
sorprende per dove può portare. La risposta rimane nell'ambiguità,
visto che di sicuro non può offrirla quella che un altro astante,
Albert Sloane, definisce “l’indisciplinata comunità umana che,
infiammata dal suo ottuso spirito collettivo, spingeva la nazione
armata verso un’imprecisa specie di catastrofe epica e bellicosa:
un enorme organismo ingovernabile, dotato della rettitudine e la
lungimiranza di un cagnetto non addestrato”. Qui la prospettiva
visionaria di George Saunders svela il suo disegno e la sua trama,
sottolineata prima disseminando innumerevoli segnali, perché la
guerra civile con la sua sterminata produzione di anime in pena
scardina l’equilibrio tra terra e inferno (di paradiso, neanche a
parlarne), giorno e notte, felicità e destino. Il finale
caleidoscopico e voluttuoso è un’esplosione di immagini, e insieme
un’implosione che si porta via tutti i protagonisti, ormai
“contagiati dal dubbio”, ma che si accorgono che può esistere,
come dice Roger Bevins III, “un luogo in cui il tempo rallenta e
poi si ferma, dove potremo vivere per sempre in un singolo istante”.
Spiazzante, trascinante, superbo, Lincoln nel Bardo è un
romanzo tutto da decifrare, ma tra sarcasmo e tragedia, in un
crescendo apocalittico e psichedelico, matura un capolavoro unico che
richiede pazienza, applicazione e scrupolo, tutto quello che serve
quando la letteratura si fa esperienza.
Nessun commento:
Posta un commento