L’incanto
della poesia di Robert Frost non è tanto e non è solo quello di
trovarci “le parole migliori nell’ordine migliore”, per dirla
con Coleridge. E’ la convinzione, alla fonte, di una scelta non
emendabile, non rinviabile, perché c’è solo una strada che si può
prendere quando si afferma: “Non desidero che il mondo venga reso
più sicuro e accessibile alla poesia. Vada al diavolo. Fatti suoi.
Affoghi pure nel suo materialismo. Anzi, non vada al diavolo ma se ne
stia così com’è mentre io ne faccio arte”. La Conoscenza
della notte è l’apologia conclamata di quei “cuori
non avversi all’illusione”, come li chiamava Robert Frost in
Ottobre,
anche, per non dire soprattutto, al cospetto di tutte le circostanze
avverse che “ci lasciano alla strada che abbiamo presa così,
come due sul cui conto si fossero sbagliati, che nell’angolo a
volte ce ne stiamo acquattati, coi nostri ostili, erratici e serafici
sguardi, tentiamo di non sentirci dimenticati”. I versi di
Negletti
sono un parte considerevole di quel “dono totale”, che la poesia
di Robert Frost interpreta con una naturale spontaneità, capace di
ascoltare La voce degli alberi
o di assecondare il Rio Hyla ovvero quando un fiume è
“ormai soltanto per chi ha memoria buona. Questo come si vede è
tutt’altro che i fiumi invocati altro in canto. Noi amiamo le cose
che amiamo per quel che sono”. Sono lì, nelle pieghe della
wilderness, che si trovano i versi che sono diventati quasi dei
sigilli. Una prima direzione, inevitabile, in La
strada non presa: “Divergevano due
strade in un bosco, e io... Io presi la meno battuta, e di qui tutta
la differenza è venuta”. Speculare (e a ben vedere,
complementare) a La strada non presa
è Fermandosi accanto a un bosco in
una sera di neve. Stessa posizione,
sulla mappa, ma un’altra prospettiva: “Bello è il bosco, buio e
profondo, ma io ho promesse da mantenere e miglia da fare prima di
dormire”. Naturalmente, la fatale Conoscenza
della notte: “Ora sia pure
la notte buia quanto le pare e tanto buia per me ch’io non possa
guardare dentro il futuro. E sia quel che sarà”. Robert
Frost non si nasconde, non è riluttante, è giusto Un po’
scontroso, per amore delle ombre e difendere la dimensione
personale: “Per me voglio tenere solo la
libertà del mio materiale: la capacità occasionale di corpo e mente
di pescare convenientemente nel grande caos di tutto ciò che ho
vissuto”. Essendo un poeta tanto ricco quanto essenziale
(“Scrivere è tutta questione di avere idee. Imparare a scrivere è
imparare a avere idee”), non va cercato Né lontano né in
profondo: si concede, senza esitazioni, senza ripensamenti:
“Niente lacrime nello scrittore, niente lacrime nel lettore. Niente
sorpresa per lo scrittore, niente sorpresa per il lettore. Per me la
gioia iniziale è nella sorpresa di ricordare qualcosa che non sapevo
di sapere. Sono in un posto, una situazione, come materializzato da
una nuvola o sorto da terra. V’è un felice riconoscimento del
lungamente perduto e il resto segue”. Va accettato, questo sì, e
infine, “ogni rivelazione” possibile è contenuta nei che
concludono Di un albero caduto attraverso la strada. Potrebbero
essere il commiato ideale: “Non ci faremo distogliere
dall’obiettivo finale che in noi segreto abbiamo da raggiungere,
dovessimo afferrare la terra per il polo e, stanchi di girare a vuoto
in un sol posto, gettarci a inseguire qualcosa nello spazio”. E’
dove va cercato “il suono del senso”, il miraggio della
primordiale simbiosi tra musica e poesia.
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