Mentre
Robert Mapplethorpe, “vittima di una maligna metamorfosi”, se ne
sta andando, Patti Smith immagina, sogna, vede e prepara per lui un
viaggio verso le isole Salomone, terre vulcaniche di “beatitudine
equatoriale”, come canterà in Beneath
The Southern Cross. La rotta nelle
allegorie del Mar dei Coralli viene
tracciata dall’istinto e dall’inerzia in parti uguali ed è
presentata così dalla stessa Patti Smith: “Quando se ne andò, non
riuscivo a piangere, perciò mi misi a scrivere. Poi presi le pagine
che avevo scritto e le riposi. Eccole, sono queste pagine, il mio
addio alla mia avventura, alla mia gioia sconfinata”. Lei lo guarda
spegnersi e sparire e vede in lui i fanciulli delle sue letture, Kim,
Peter Pan, con la stessa aura scintillante: “Sognava. Dormiva. No,
non sognava affatto. Era piuttosto soggiogato da uno strano senso
d’amore. Un grembiule di occhi che tremavano e esplodevano come
tanti bulbi. Un unico tulipano. Grande, solitario e nero, come una
macchia sul sole”. Patti Smith procede già nella ricostruzione del
ricordo, nella conservazione della memoria e, nell’appropriarsi
delle gesta e dei simboli, presta a Robert Mapplethorpe le parole che
nessuno dei due riesce più a pronunciare: “Come potrei essere
incolpato, sussurrò. Per il bisogno di tanta opulenza. Per occhi che
volevano dare un nuovo assetto alle cose. Per essere stato uno che
voleva niente meno che abbracciare il crinale di una montagna mentre
la luce vi giocava sopra”. Per quanto metaforico,
l’attraversamento dell’oceano necessita di identificare con
precisione i naviganti ed è così Patti Smith racconta Robert
Mapplethorpe: “Adorava la prospettiva di un rapporto imprevisto. La
curva di uno stelo contro la gola di una dea caduta. La voluta di una
rete in una sala nuda. E quando ci si aggirava in quello spazio così
abilmente trasformato, era come penetrare davvero nel miracolo di una
mente eccezionale”. Il senso della prospettiva nella sua fotografia
resta testimone di tanta ammirazione e anche di “come avrebbe
voluto, per un attimo, stringere una vita sottile e fare un giro di
valzer sulle lucide tavole di legno. Affascinare la bellezza, essere
audace e seducente, essere inebriato dall’amore, e una ragione per
credere”. Dovrebbe essere un dialogo, ma sull’altra sponda ormai
c’è il silenzio, e Patti Smith si assume la responsabilità di
tradurre l’intesa, la complicità, lo spirito che li legava: “Era
arrivato alla conclusione che ciascuno di noi sa tutto, perché il
destino è dentro di noi, permea il nostro respiro. Sua è
l’atmosfera su cui il bambino posa il capo come su un cuscino. I
segni agitano le braccia, mentre noi passiamo oltre. Gli amanti
distolgono gli occhi finché la percezione tremante diventa
insopportabile, e si separano. Ciascuno tenendo un pezzo di futuro,
con le due metà che si combinano insieme come un cuore da quattro
soldi”. Lui era Queeneg e lei l'inevitabile Ismaele, ma poi, “una
folta rapida di vento afferrò l’orlo della coperta. Non amava il
guerriero, né la guerra, ma certi rituali, relitti di guerra. La
sciarpa del samurai, la ciotola di saké versata nel vento divino. E
nel controllare pezzo per pezzo i suoi strumenti, raggiunse il
comportamento di chi non appartiene più a nessuno, a niente, salvo
ai propri sogni, al proprio destino. E ne è schiavo”. Un’estrema
forma di saluto, coagulato attorno ai primi germi di quella scrittura
che, dal minuscolo bozzolo di Mar dei
Coralli, porterà entrambi
protagonisti, una volta tornati indietro nel tempo, a Just
Kids, quando erano ancora insieme,
affamati d’arte e di bellezza, trepidanti, sognanti.
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