Se c’è stato un libero pensatore sul finire
ventesimo secolo, è proprio lui, Kurt Vonnegut. Nei suoi discorsi ai laureati,
in un bel pezzo di storia americana che va dal 1978 al 2004, allinea
preoccupazioni e idee (parecchie) senza perdere un filo della sua caustica
ironia. Le sue iperboli e le sue esortazioni rispecchiano una verve
inimitabile: temi e frasi si ripetono e si rincorrono (anche se è curioso
andare a spulciare le sottili variazioni in corso d’opera) e comunque Kurt
Vonnegut si conferma un oratore arguto e frizzante, non molto diverso dallo
scrittore, sempre ispirato e senza tante remore nel dire ciò che pensa. Lo
spiega nel dettaglio anche Dan Wakefield nell’introduzione a Quando siete
felici, fateci caso:
“Nel suo modo di parlare e di scrivere, Vonnegut riusciva sempre a tirare fuori
le parole e le espressioni schiette che la gente pensava ma non diceva, le idee
che esprimevano sensazioni intime, che facevano vacillare i preconcetti e
spingevano il lettore a guardare le cose da un’angolazione diversa. Era quello
che puntava il dito sulla questione fondamentale di cui nessuno parlava, quello
che vedeva che il re era nudo”. Per essere americano, e in America, e nello
specifico tra le mura degli ambienti accademici, tradizionalisti e conservatori
per definizione, non è poco, anzi. Kurt Vonnegut è esplicito, senza freni,
limiti o censure: “Eccola, in breve, la mia posizione politica: smettiamo di
dare alle multinazionali e alle diavolerie moderne ciò di cui hanno bisogno, e
ricominciamo a dare a noi esseri umani ciò di cui abbiamo bisogno”. Quando si
tratta di affrontare gli spettri e gli abusi casalinghi, che si chiamino
Richard Nixon o George Bush, Kurt Vonnegut usa la sciabola, che poi è quello
che ci vuole: “Non c’è la minima speranza che l’America possa diventare
generosa e ragionevole. Perché il potere ci corrompe, e il potere assoluto ci
corrompe nella maniera più assoluta”. En passant, tra un aneddoto e l’altro,
perché ci tiene sempre a strappare un sorriso, cita Edward Gibbon (“La storia,
di fatto, è poco più che la cronaca dei crimini, delle follie e delle disgrazie
dell’umanità”), regala una sintesi memorabile della storia (e del senso ultimo)
del blues, racconta di quando ha fumato con Jerry Garcia, elenca i suoi eroi
(letterari), tra cui Carl Sandburg e Edgar Lee Masters. Convinto che “uno
scrittore è innanzitutto un insegnante”, Kurt Vonnegut infila sempre qualche
utile suggerimento: “Praticare un’arte, non importa a quale livello di
consapevolezza tecnica, è un modo per far crescere la propria anima, accidenti.
Cantate sotto la doccia. Ballate ascoltando la radio. Raccontate storie”. Se
scegliete l’ultima opzione, bisogna rispettare la regola numero uno (e quanto
pare, l’unica): “Non usate il punto e virgola. E’ un ermafrodito travestito che
non rappresenta assolutamente nulla. Dimostra soltanto che avete fatto
l’università”. L’augurio finale è squillante, come si conviene, prima di
rompere le righe: “C’è un sacco di pulizia da fare. C’è un sacco di
ricostruzione da fare, sia a livello spirituale che materiale. E, ripeto, ci
sarà un sacco di felicità. Mi raccomando, rendetevene conto!”. Ci proveremo.
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