mercoledì 8 ottobre 2014

Elizabeth Bishop

Frutto dell’osservazione e dell’ossessione per i minuscoli dettagli della vita quotidiana le poesie di Miracolo a colazione interpretano un’attitudine che ha espliciti riferimenti nella pittura di Seurat o nelle visioni di Blake. E’ quella che Elizabeth Bishop chiama una “concentrazione perfettamente inutile, dimentica di sé”, capace di incorniciare nei versi frammenti di dialogo, schegge di percezione, scorci di paesaggio tradotti in elementi di linguaggio caratteristici e riconoscibili. La lettura di un refuso su quotidian è ispirazione più che abbondante per L’Uomo-Falena e le basta aprire gli occhi per raccontare l’alba e il risveglio in Anafora: “Con quante cerimonie il giorno ha inizio, con gli uccelli, le campane e le sirene di una fabbrica;  i nostri occhi si aprono su cieli d’oro bianco, su muri così fulgidi che ci chiediamo per un attimo: da dove viene l’energia, la musica? Per quale ineffabile creatura sfuggitaci era destinato il giorno? Ed ecco che appare per assumere natura terrena là per là, cadendo preda di lunghi intrighi, acquistando memoria e una mortale mortale spossatezza”. Pur avendo una particolare grazia nel disporre le parole, con un gusto molto sensibile per le immagini, Elizabeth Bishop lascia spesso la porta aperta a squarci onirici che irrompono sulle sue istantanee domestiche, quasi inoffensive, spezzandone la sequenza e così creando un ritmo stravagante, fatto di stop and go, di rapide interruzioni, svolte, repentini cambi di direzione, fino a “non sentire null’altro che un treno che passa, deve passare, come la tensione; nulla”. A volte criptica ed enigmatica, a tratti incantevole e gentile, la sua poesia rimane sempre scomoda perché c’è un altrove costante in Miracolo a colazione che diventa un orizzonte percepibile attraverso L’iceberg immaginario, (“Meglio per noi l’iceberg della nave, pur segnando il termine del viaggio”), Ai magazzini del pesce, (“E’ come immaginiamo il sapere: oscuro, salso, limpido, animato, da attingere in tutta libertà alla dura e fredda bocca del mondo, le mammelle di rocca a cui ricorrere, mai a corto, e storico qual è il nostro sapere non fa che scorrere e non è più scorto”), Cap Breton (“La nebbia rarefatta segue le bianche mutazioni del suo sogno”) e la sezione conclusiva di Quattro poesie, dove Elizabeth Bishop scrive che “Il mondo è una foschia. E poi il mondo è minuto, vasto e limpido. E alta o bassa la marea”. Le descrizioni dei paesaggi marini sono le componenti di Miracolo a colazione che ritornano con maggiore continuità e intensità. Elizabeth Bishop le mette spesso in risalto, attingendo dalla sua tormentata biografia, trascorsa tra le coste del Brasile e le baie atlantiche del New England, e raccogliendo e disponendo le parole come se fossero conchiglie sulla spiaggia, una domenica mattina. L’arte è sempre quella, dice in un’altra poesia, ed “è evidente: l’arte di perdere fin troppo presto s’impara, e sembra (scrivilo!) un disastro”. L’apparenza e la dolcezza delle sfumature non inganna: Miracolo a colazione è una burrasca che ondeggia sorniona, ma alla fine giunge a destinazione con tutta la sua forza.

1 commento:

  1. che spettacolo! adorata elizabeth, che fa piangere (sul serio) l'nconsapevole cameron diaz, nell'orripilante "in her shoes", quando si trova a leggere la sublime villanella! che fa piangere me (e chiunque la legga) ogni volta che la rileggo. di gioia, naturalmente.

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