lunedì 11 novembre 2013

Gay Talese

La saga della famiglia Bonanno che si dipana dalla scomparsa del patriarca, Joseph, alle gesta del figlio Bill è “un mondo così strano e sfibrante” che la narrazione di Gay Talese, al solito acuta, puntigliosa e brillante, assume un carattere paradossale. Per arrivare a concludere Onora il padre, Gay Talese si muove con passo felpato in quello che è un territorio minato, e non in senso metaforico. Il rischio della vita è una componente quotidiana dell’identità mafiosa, come confessa lo stesso Bill Bonanno: “Quando la mattina mi alzavo dal letto, il mio unico obiettivo era arrivare vivo fino a sera. E al tramonto, il mio unico obiettivo era sopravvivere fino all’alba”. La convivenza di Gay Talese con la famiglia Bonanno è tale da rappresentare un pericolo concreto, anche se gli permette di comprendere, sul campo e in diretta, l’intima essenza della vita mafiosa, “una routine fatta di attese interminabili, di monotonia, di giornate e giornate passate in nascondigli, fumando eccessivamente, mangiando troppo, rinunciando forzatamente a ogni esercizio fisico, stando allungati sul letto in stanze dalle imposte chiuse, morendo di noia, mentre si faceva tutto questo per cercare di restare vivi”. Dal capo dei capi all’ultimo gregario, per gli uomini d’onore non c’è altro se non “la disciplina, ecco il requisito fondamentale. I travestimenti, i nascondigli, i falsi documenti d’identità gli amici leali erano tutte cose importanti, ma la disciplina individuale era il fattore essenziale, in quanto comportava la capacità di mutare abitudini di vita, di adattarsi alla solitudine, di stare all’erta senza lasciarsi prendere dal panico, di evitare i luoghi e le persone con cui in passato si aveva maggior dimestichezza”. Per tutti gli altri, le moglie, le fidanzate, i figli c’è un’ambiguità velata dalla paura, un vago senso di pericolo nascosto nella reciproca diffidenza e un alone di paranoia diffuso e costante nell’aria. Abituato a toccare con mano, Gay Talese si accorge di essere “diventato una valvola di comunicazione all’interno di una famiglia a lungo oppressa dalla tradizione del silenzio”. Non si avvede che Onora il padre, forse per un processo di osmosi, assume una forma iperbolica, per cui dopo qualche centinaio di pagine, viene spontaneo accettare persino una ritratto della mafia abbastanza accomodante: “In massima parte quegli uomini erano implicati nel gioco d’azzardo: per quanto illegale, rientrava nella naturale tendenza umana. Il racket del lotto, le scommesse, la prostituzione e altre attività vietate dalla legge avrebbero continuato a esistere anche senza la mafia. In realtà i mafiosi erano semplici servitori in una società ipocrita, era i mediatori che fornivano quelle possibilità di piacere e di evasione che il pubblico chiedeva e che la legge proibiva”. Nel raccontare una dimensione parallela in cui, dopo anni di tradimenti e vendette, “nessuno sapeva più con certezza chi fosse il nemico”, Onora il padre è scrupoloso, florido e oculato solo che rimane a distanza di sicurezza. Si può capire, anche se nello stile di Gay Talese certe omissioni si notano, e stonano.

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