La saga della
famiglia Bonanno che si dipana dalla scomparsa del patriarca, Joseph, alle
gesta del figlio Bill è “un mondo così strano e sfibrante” che la narrazione di
Gay Talese, al solito acuta, puntigliosa e brillante, assume un carattere
paradossale. Per arrivare a concludere Onora il padre, Gay Talese si muove con passo felpato in
quello che è un territorio minato, e non in senso metaforico. Il rischio della
vita è una componente quotidiana dell’identità mafiosa, come confessa lo stesso
Bill Bonanno: “Quando la mattina mi alzavo dal letto, il mio unico obiettivo
era arrivare vivo fino a sera. E al tramonto, il mio unico obiettivo era
sopravvivere fino all’alba”. La convivenza di Gay Talese con la famiglia
Bonanno è tale da rappresentare un pericolo concreto, anche se gli permette di
comprendere, sul campo e in diretta, l’intima essenza della vita mafiosa, “una
routine fatta di attese interminabili, di monotonia, di giornate e giornate
passate in nascondigli, fumando eccessivamente, mangiando troppo, rinunciando
forzatamente a ogni esercizio fisico, stando allungati sul letto in stanze
dalle imposte chiuse, morendo di noia, mentre si faceva tutto questo per
cercare di restare vivi”. Dal capo dei capi all’ultimo gregario, per gli uomini
d’onore non c’è altro se non “la disciplina, ecco il requisito fondamentale. I
travestimenti, i nascondigli, i falsi documenti d’identità gli amici leali
erano tutte cose importanti, ma la disciplina individuale era il fattore
essenziale, in quanto comportava la capacità di mutare abitudini di vita, di
adattarsi alla solitudine, di stare all’erta senza lasciarsi prendere dal
panico, di evitare i luoghi e le persone con cui in passato si aveva maggior
dimestichezza”. Per tutti gli altri, le moglie, le fidanzate, i figli c’è un’ambiguità
velata dalla paura, un vago senso di pericolo nascosto nella reciproca
diffidenza e un alone di paranoia diffuso e costante nell’aria. Abituato a
toccare con mano, Gay Talese si accorge di essere “diventato una valvola di
comunicazione all’interno di una famiglia a lungo oppressa dalla tradizione del
silenzio”. Non si avvede che Onora il padre, forse per un processo di osmosi, assume una forma
iperbolica, per cui dopo qualche centinaio di pagine, viene spontaneo accettare
persino una ritratto della mafia abbastanza accomodante: “In massima parte
quegli uomini erano implicati nel gioco d’azzardo: per quanto illegale,
rientrava nella naturale tendenza umana. Il racket del lotto, le scommesse, la
prostituzione e altre attività vietate dalla legge avrebbero continuato a
esistere anche senza la mafia. In realtà i mafiosi erano semplici servitori in
una società ipocrita, era i mediatori che fornivano quelle possibilità di
piacere e di evasione che il pubblico chiedeva e che la legge proibiva”. Nel
raccontare una dimensione parallela in cui, dopo anni di tradimenti e vendette,
“nessuno sapeva più con certezza chi fosse il nemico”, Onora il padre è scrupoloso, florido e oculato solo che
rimane a distanza di sicurezza. Si può capire, anche se nello stile di Gay
Talese certe omissioni si notano, e stonano.
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