Anche in tempi in cui le immagini corrono più
veloci delle parole, la fotografia ha mantenuto una dimensione in cui cercare
la profondità in due semplici coordinate, alla fine. Ridurre uno spazio a tre
dimensioni (più quella, non relativa, del tempo) a un ordine verticale e
orizzontale, dove si concentra lo sguardo, la luce, l’impressione e insieme
cercare di saldare “realtà e immagine nella nostra società”, come dice il
sottotitolo di Sulla fotografia, è ancora qualcosa che merita di essere
considerato niente altro che arte anche quando lo scopo, l’obiettivo è diverso
perché comunque “la fotografia è diventata uno dei principali meccanismi per
provare qualcosa, per dare una sembianza di partecipazione”. Va ricordato che Sulla
fotografia
è del 1977 e se Susan Sontag non poteva immaginare cosa sarebbe successo con la
rete in tutte le sue derivazioni, aveva già compreso, e molto bene, cosa stava
facendo l’altro strumento che ha fagocitato le immagini e la nostra stessa
percezione, perché “la televisione è un susseguirsi ininterrotto di immagini,
ognuna delle quali cancella quella che la precede” e non è una constatazione
relativa. Nella sua prospettiva “la realtà è sempre letta attraverso i rapporti
che ne forniscono le immagini” e le analisi allineate da Sulla fotografia sono impietose: “le
immagini paralizzano. Le immagini anestetizzano” ed è dunque una sorta di
filosofia dell’ottica, un’etica della visione quella che viene sottolineata
perché “collezionare fotografie è collezionare il mondo”. Se è vero, non è così
lineare dato che, come scrive Susan Sontag, la fotografia consiste comunque “in
uno spiegamento di frammenti casuali, in un modo di misurarsi con il mondo che
è insieme infinitamente allettante e intensamente riduttivo”. Si capisce allora
il senso della definizione, citata a proposito, che Berenice Abbott offre del
fotografo come “l’essere contemporaneo per eccellenza; attraverso i suoi occhi
l’oggi diventa passato” e in effetti Sulla fotografia condensa la pittura, il
cinema, le arti in generale e l’informazione nello specifico perché poi, come
scrive Susan Sontag “il desiderio non ha storia, o almeno è sempre vissuto come
qualcosa che è tutto in primo piano, tutto immediato. E’ suscitato da archetipi
ed è, in tal senso, astratto. I sentimenti morali invece sono radicati nella
storia, dove le persone sono sempre concrete e le situazioni sempre
specifiche”. La conclusione di Susan Sontag è che “noi abbiamo un’idea moderna
del bello, la bellezza non è insita in nulla; bisogna trovarla, con un altro
modo di vedere” e Sulla fotografia finisce con una “breve antologia di citazioni”
che in realtà costituiscono una solida e coerente appendice di suggerimenti,
una vera e propria mappa per interpretare l’immagine e la realtà. A maggior
ragione se ci si confronta, tra gli altri, con il brevissimo, concreto aforisma
di Frederick Sommer che dice: “La vita non è la realtà. Siamo noi che
infondiamo vita nelle pietre e nei ciottoli”. E’ la sintesi estrema di una
testimonianza che è molto più di un saggio Sulla fotografia.
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