C’è
un villaggio polacco che è stato attraversato dalla storia e dove, anche se in
pochi se ne sono accorti “c’è sempre stato qualcuno, c’è sempre stato un segno,
un’orma lasciata nel dolce alternarsi delle stagioni, nelle generazioni di
foglie cadute e marcite”. In quell’angolo freddo e sperduto i grandi
cambiamenti umani e politici, le guerre, l’abominio del nazismo sono arrivati
quasi come l’eco di una voce lontana, eppure provocano variazioni
impercettibili, strani comportamenti, tradimenti, prove di forza perché “la
nostra storia è come una forza alle nostre spalle, che ci incalza senza farsi
riconoscere, ma che detta il modo in cui viviamo la nostra vita”. La piccola e
ombrosa comunità viene scossa dalla scoperta del cadavere di un ragazzo, il
primo passo di una spirale che per il protagonista de La memoria della
foresta si sviluppa in
modo esponenziale visto che “i fatti che sono successi qui, per piccoli che
possano apparire, sono diventati per me, e forse per tutti noi, una lotta
contro il passato e contro la profezia, contro la storia e contro il futuro”. A
Jadowia, il tempo scandito dalle stagioni non è un’opinione è un campo
magnetico a cui nulla può sfuggire e “così la storia non molla, e a volte torna
indietro e ci assale all’improvviso”. Sembra che ogni singolo albero, carro o
animale notturno possieda una propria memoria, tanto che Leszek Maleszewski
arriva a dire: “Non sono sicuro di credere agli spiriti, ma credo senza dubbio
in una sorta di coscienza, di consapevolezza, che in parte è immaginazione,
estrapolazione, o forse un origliare dovuto all’intuizione”. Su questo tessuto
umano, in apparenza inpenetrabile, bucolico e gonfio di vodka, in realtà
ipersensibile e attentissimo, s’innesta un omicidio che è un buco della
serratura attraverso il quale s’intravedono altri mondi, altre epoche intrise
di ricordi ingombranti e lancinanti. “Un tempo nuovo ci incalza. Molti di noi
devono fare del loro meglio per crederci, e molti non vogliono, molti non
possono” dice Leszek Maleszewski e lui stesso prova a farlo con tutto quel poco
che ha. Jadowia diventa una terra di nessuno tra due differenti e opposte
necessità, quelle dell’oblìo e della memoria, che si confrontano schierando
falangi di fantasmi. Emergono tra gli alberi, sui sentieri, dalla nebbia e più
di tutto nelle parole che svelano e nascondono segreti avvolgendo, increspando
e imprigionando le vite dei personaggi. E’ sufficiente una pagina di prologo e
in un baleno si è avvolti dalla storia, che “per metà è tutta una bugia, mentre
l’altra metà si regge sul tentativo di non ricordarne la parte peggiore”: la
scrittura di Charles T. Powers (che è stato inviato del Los Angeles Times a
Varsavia per più di vent’anni ed è scomparso nel 1996), è un flusso
inarrestabile che si dipana senza esplosioni o fragrori, ma con una certosina
attenzione al tono e all’atmosfera e un
ritmo costante, metodico e a lungo andare ipnotico, che rende speciale La
memoria della foresta un
romanzo unico e singolare.
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