mercoledì 2 gennaio 2013

Bret Easton Ellis

Trent’anni dopo, Meno di zero è un bizzarro reperto archeologico, intenso e fluorescente, che parla ancora del futuro. Il suo è un tempo immobile, un eterno presente, artificiale e ambiguo come è Los Angeles con i suoi deserti, immaginari o reali che siano. L’elogio dell’evanescenza di Bret Easton Ellis ha il ritmo feroce di un videoclip perché si ingozza delle due principali attrazioni cittadine, la finzione continua e suprema del cinema e la feroce velocità della musica pop. Il senso della prospettiva permette di seguire e di comprendere con maggiore precisione quegli indizi musicali che sono determinanti nel formare il ritmo di Meno di zero e nello svelarne i temi fondamentali. A scanso degli equivoci generati dal titolo, i riferimenti musicali appartengono ben poco alla caustica ironia di Elvis Costello: fin dall’esordio, Bret Easton Ellis è sempre stato molto abile nella sottile arte del depistaggio, disseminando tracce e indicazioni contrastanti. In realtà, la colonna sonora di Meno di zero appartiene alla generazione dei genitori ed è da lì che forse bisogna partire. Quando, all’inizio del romanzo, Clay sale sulla macchina del padre che gli mette un cassetta di Bob Seger “nell’assurdo tentativo di stabilire una comunicazione”, è già chiaro l’abisso. Bret Easton Ellis non lo dice, ma le coordinate temporali suggeriscono che quel nastro sia The Distance e se la frattura è evidente perché Bob Seger è più vicino agli Eagles che agli X, bisogna ammettere che genitori e figli vivono tutti nell’atmosfera vacua e decadente di Hotel California. Nel colmo delle reaganomics non ci ci si chiede da dove provengono i soldi, e non serve chiedersi dove vanno a finire: Mercedes, Porsche, Ferrari, cocaina, champagne, psichiatri e lifting (un’associazione da tenere ben presente) in cerca di un’identità che non c’è perché la promiscuità di Los Angeles è una somma infinita di solitudini e, come dice Clay alias Bret Easton Ellis “qui si può sparire senza saperlo”. Non a caso, il simbolo ricorrente, il punto focale su cui si concentrano tutti gli sguardi, l’elemento che ritorna come un loop elettronico o un artificio della sceneggiatura di un film, è la piscina. E’ il gadget che definisce la noia, l’indifferenza, la disperazione, persino il colore e l’atmosfera dominanti in Meno di zero, svelati poi dallo stesso Clay quando dice: “Penso alla gente che ha paura di buttarsi, e alla piscina di notte, con l’acqua luminosa che brilla in giardino”. E’ lì che il riferimento musicale più intenso diventa la citazione Straight Into Darkness di Tom Petty perché tutti i personaggi di Meno di zero stanno andando verso il fondo, buio e senza fine, e Bret Easton Ellis usa una scrittura arida, cinica e meccanica, per scrivere un doppelgänger alterato e pop di Mentre morivo di William Faulkner, a sua volta buttato lì, tra una striscia e l’altra. I coyote scendono affamati dalle colline. John Doe e Exene Cervenka cantano Los Angeles. Tutti portano occhiali scuri, come Elvis Costello sulla copertina di Trust. C’è sempre il rischio di restare abbagliati da una grande sole nero.

2 commenti:

  1. La copertina della prima edizione italiana rimane un classico, come il romanzo!

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  2. Sono d'accordo, anche i colori sono perfetti.

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