E’ paradossale che per comprendere La contea più fradicia del mondo si debba seguire il comportamento dei cervi in un periodo di estrema siccità. Gli animali scendono a valle in cerca di cibo e soprattutto dell’acqua, sfidando la sorte e diventando facili prede e altrettanto facili bersagli, ma è ineludibile perché “il bisogno di bere è più forte della paura di morire”. Tradotto con le giuste proporzioni per gli uomini e con l’alcol è il tema dominante di La contea più fradicia del mondo: lo smercio del whisky è il motivo dell’epica battaglia che, negli ultimi e convulsi anni del probizionisimo e della crisi economica del 1929, imperversa nella contea di Franklin e si avvinghia all’albero genealogico di Matt Bondurant, che ricostruisce a partire dal “ricordo di un’antica irrequietezza” per arrivare a definire, ancora una volta, una nuova frontiera americana. Per farlo, oltre ad affidarsi ai documenti storici e alle cronache famigliari, Matt Bondurant si appoggia a un altro fatto reale e si fa accompagnare nella sua meticolosa esplorazione da Sherwood Anderson che all’epoca provò davvero a comprendere vita e morte nel nome del whisky nella contea di Franklin. Un compito difficile e rischioso perché, come si dice da quelle parti, “chi ficca il naso tra le colline della contea di Franklin, rischia di trovare solo due cose: whisky illegale e un fracco di botte”. Davanti al fatto compiuto, all’impercettibile distinzione tra potere e giustizia, Sherwood Anderson, o la sua “trasfigurazione”, condensa con una domanda tutta La contea più fradicia del mondo (la definizione, del resto, è davvero sua): “Qual è il prezzo che dobbiamo pagare affinché il nostro incessante appetito bestiale possa essere appagato?”, ed è questo il nocciolo duro e liscio al centro del romanzo di Matt Bondurant. Un soggetto avvincente e trascinante nella stesura, molto lineare ed essenziale, e privo (per fortuna, visto l’argomento) di spiccioli moralismi o banali consolazioni. La corsa al whisky, le immense fatiche per produrlo nascosti nei boschi e poi per distribuirlo, gli scontri tra i produttori e infine con l’ordine pubblico (e le sue deviazioni) hanno un motivo solo ed è quello “che sanno tutti gli alcolizzati: un buon liquore è in grado di fermare il tempo. Per qualche ora il mondo gira al contrario, la terra scorre velocemente sotto i piedi, le montagne si sollevano a formare una corona scintillante mentre, con la mano salda sul manico del bottiglione, la schiena pompa come un pistone. Ma questa non è vita, lo sanno tutti. Passata la dose quotidiana di illusioni, di possibilità ingannevoli, arrivano i conati di vomito devastanti, le fitte allo stomaco, le mattine confuse, la depressione. Ma sempre meglio di niente”. Mentre le canzoni della Carter Family e Jimmie Rodgers risuonano alla radio evocando tutta un’era e un territorio, il sottile confine tra timore e necessità viene varcato più volte e a ogni passaggio, tracciato con il sangue, il fuorilegge si rivela più onesto degli sceriffi. Based on a true story, merita più di una riflessione.
sabato 4 agosto 2012
Matt Bondurant
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