sabato 4 agosto 2012

Matt Bondurant

E’ paradossale che per comprendere La contea più fradicia del mondo si debba seguire il comportamento dei cervi in un periodo di estrema siccità. Gli animali scendono a valle in cerca di cibo e soprattutto dell’acqua, sfidando la sorte e diventando facili prede e altrettanto facili bersagli, ma è ineludibile perché “il bisogno di bere è più forte della paura di morire”. Tradotto con le giuste proporzioni per gli uomini e con l’alcol è il tema dominante di La contea più fradicia del mondo: lo smercio del whisky è il motivo dell’epica battaglia che, negli ultimi e convulsi anni del probizionisimo e della crisi economica del 1929, imperversa nella contea di Franklin e si avvinghia all’albero genealogico di Matt Bondurant, che ricostruisce a partire dal “ricordo di un’antica irrequietezza” per arrivare a definire, ancora una volta, una nuova frontiera americana. Per farlo, oltre ad affidarsi ai documenti storici e alle cronache famigliari, Matt Bondurant si appoggia a un altro fatto reale e si fa accompagnare nella sua meticolosa esplorazione da Sherwood Anderson che all’epoca provò davvero a comprendere vita e morte nel nome del whisky nella contea di Franklin. Un compito difficile e rischioso perché, come si dice da quelle parti, “chi ficca il naso tra le colline della contea di Franklin, rischia di trovare solo due cose: whisky illegale e un fracco di botte”. Davanti al fatto compiuto, all’impercettibile distinzione tra potere e giustizia, Sherwood Anderson, o la sua “trasfigurazione”, condensa con una domanda tutta La contea più fradicia del mondo (la definizione, del resto, è davvero sua): “Qual è il prezzo che dobbiamo pagare affinché il nostro incessante appetito bestiale possa essere appagato?”, ed è questo il nocciolo duro e liscio al centro del romanzo di Matt Bondurant. Un soggetto avvincente e trascinante nella stesura, molto lineare ed essenziale, e privo (per fortuna, visto l’argomento) di spiccioli moralismi o banali consolazioni. La corsa al whisky, le immense fatiche per produrlo nascosti nei boschi e poi per distribuirlo, gli scontri tra i produttori e infine con l’ordine pubblico (e le sue deviazioni) hanno un motivo solo ed è quello “che sanno tutti gli alcolizzati: un buon liquore è in grado di fermare il tempo. Per qualche ora il mondo gira al contrario, la terra scorre velocemente sotto i piedi, le montagne si sollevano a formare una corona scintillante mentre, con la mano salda sul manico del bottiglione, la schiena pompa come un pistone. Ma questa non è vita, lo sanno tutti. Passata la dose quotidiana di illusioni, di possibilità ingannevoli, arrivano i conati di vomito devastanti, le fitte allo stomaco, le mattine confuse, la depressione. Ma sempre meglio di niente”. Mentre le canzoni della Carter Family e Jimmie Rodgers risuonano alla radio evocando tutta un’era e un territorio, il sottile confine tra timore e necessità viene varcato più volte e a ogni passaggio, tracciato con il sangue, il fuorilegge si rivela più onesto degli sceriffi. Based on a true story, merita più di una riflessione.

Nessun commento:

Posta un commento