giovedì 23 agosto 2012

Derek Nikitas

Una constatazione di Greta Hurd, detective avvolta in una spirale di dubbi esistenziali, aiuta a comprendere dove cominciano a divampare I fuochi del nord: “I casi di omicidio non erano come le autopsie. Non se ne stavano lì sdraiati, fermi a farsi sezionare dal bisturi. Si contorcevano, scalciavano e urlavano fino a quando non riuscivi a seppellirli nella fossa”. L’assassinio di Oscar Moberg, stimato professore di letteratura, mite pescatore, padre di Luc alias Lucia, è la scintilla che contiene già tutta l’essenza e la forza della storia. Il nocciolo malefico si intuisce fin dall’inizio e il lettore appena appena esperto comprenderà subito che qualcosa non quadra, ma I fuochi del nord si svelano per gradi, uno strato dopo l’altro. In fondo, lo stesso Derek Nikitas non sembra preoccuparsi per aver lasciato ben visibili alcuni indizi rivelatori. Quei dettagli in superficie suggeriscono che gli interessi qualcosa in più della suspense e/o del mistero, anche se la tensione e il ritmo rimangono costanti fino alla fine. Grazie anche ad alcune scelte originali ed eccentriche: un lungo lavoro di preparazione dopo il botto iniziale, un plot articolato e orchestrato con grande cura e su sui si possono applicare più chiavi di lettura, molta azione che si trasforma in scene vivide e, come ha scritto, Joyce Carol Oates “coinvolgenti”, compresa la pirotecnica resa dei conti e, last but not least, un’ambientazione particolare, fiabesca, nella neve e nel freddo. Derek Nikitas gioca con la mitologia nordica come farebbe uno dei suoi punti di riferimento, citato tra le righe, Stephen King: la comunione tra l’elemento metafisico e quello naturale, sempre a stretto contatto nelle favole e nelle leggende, è uno dei tratti caratteristici di una trama intensa, densa e profonda. I mostri sono altri e, come in tutti i noir di un certo spessore, anche I fuochi del nord allinea alcune visioni concrete di realtà deformate e decadenti: l’alienazione nelle periferie suburbane, la deviazione antropologica delle gang, le violente alterazioni nei rapporti umani. Le pareti tra mondi diversi e in contrasto sono sempre più sottili, per non dire comunicanti, e le differenze tra i cosiddetti normali e i mostri stanno soprattutto nelle apparenze. Le associazioni (a delinquere) non avvengono mai per caso: piuttosto per assimilazione, per simbiosi, per osmosi, con la stessa naturalezza della wilderness che circonda I fuochi del nord. Ed è l’elemento femminile, altra sfumatura su cui Derek Nikitas non manca di insistere, a far scattare i cardini della storia: sono tutte donne quelle che, da varie angolazioni e in punti diversi, accendono I fuochi del nord e l’incendio divampa e viene infine spento solo grazie a loro. Proprio a cominciare da Greta Hurd, che non vuole credere a un omicidio dal profilo fin troppo ambiguo, per finire con l’esperienza di Luc che, grazie al padre, ha un canale privilegiato con il mondo fantastico che vive nella foresta, nei ricordi e nei sogni che sono sempre meglio anche perché i mostri sono ben altri, e ben più reali.

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