Il suo nome è Dick Henry ed è proprio lui, La scorciatoia: dove non arriva la legge, dove serve un cambio di rotta, dove ci vuole un taglio netto, ecco, quello è il suo lavoro. Ammazzare qualcuno, invece, è qualcosa di “irreversibile” e in un mondo quello di Dick Henry, come quello di tutti, dove la precarietà è l’unica verità, l’omicidio è un lusso che non ci si può permettere. Lo sa bene Dick Henry, essendosi fatto poliziotto, investigatore, giudice e assassino nello stesso tempo, in un passato che non passa mai. Quando viene assunto da un produttore cinematografico per indagare sulle infedeltà della moglie, impara a capire come funzionano le dinamiche di Hollywood, che sono gli elementi predominanti del paesaggio umano di La scorciatoia: “Era tutto una raccolta. Soldi, risorse, favori, persone. A mettere insieme tutto nello stesso momento, il totale superava la somma delle parti. Riuscire a tenere in piedi la cosa quando il sogno si sgonfiava e restava la realtà. Sostituire New York con Toronto, Hollywood con Arcadia, le Cadillac con le Chevrolet. Ma ogni tanto funzionava, e il tuo nome, stampato sulla fiancata di un autobus, attraversava quartieri nei quali nessuno parlava inglese”. E’ però un altro il detonatore per cui La scorciatoia parte a razzo come un fuoco d’artificio e non si ferma più, ed è la scoperta che l’obiettivo delle sue indagini è anche, e da tempo, la sua amante. Una femme fatale, perfetta, in tutti i sensi. Qui comincia un tourbillon clandestino e chandleriano di sotterfugi e doppio gioco, colpi di scena e capovolgimenti di fronte, destinato senza scampo alla tragedia, visto che La scorciatoia, in breve, lo riassume così: “Il prodotto delle bugie sono altre bugie, così come le incrinature si allargano in crepe sul parabrezza. Prima o poi non ci si capisce più un cazzo”. P.G. Sturges scrive senza esitazioni senza grandi velleità, con un gusto per il ritmo e la sorpresa che tengono il lettore incollato al romanzo almeno quando lui resta vicino a Dick Henry, uno capace di intuire in una frase tutta una visione. Del resto “un uomo è capace di illudersi su un bel po’ di cose, e l’illusione cresce in proporzione alle occasioni. Fornito fin dalla nascita di uno specchio magico, l’uomo lavora tutta la vita per aumentarne la sua capacità deformante” e le battute si susseguono con le cadenze sincopate del miglior jazz: La scorciatoia comincia con Miles Davis e si avvia al finale con Duke Ellington, mentre Dick Henry è alle prese con il rapido sviluppo di una catena di omicidi, tra i boulevard di Los Angeles e le valli della California, nonché con una complicata riconciliazione famigliare (l’uomo è parecchio combattuto, si sarà capito). Come finisce La scorciatoria, in un luogo dove tutti fingono di essere qualcun altro (o qualcos’altro) è anche piuttosto relativo, una questione su cui P.G. Sturges sorvola perché il suo Dick Henry si presta con favore a successive puntate, che non mancheranno. Il divertimento è assicurato (anche qualcosa di più).
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