sabato 6 agosto 2011

Bret Easton Ellis

Era naturale che prima o poi scrittori ossessionati dall’estetica come Jay MacInerney o Bret Easton Ellis arrivassero a occuparsi del mondo della moda a tempo pieno. Quest’ultimo persino con un romanzo ambientato, costruito e volutamente fedele a tutto ciò che gira attorno a stilisti, modelle, riviste patinate, fotografi, gossip e amenità varie. Lo spunto è in un certo senso dovuto, logico e interessante, perché il fashion system occupa un posto centrale nei sogni e nelle illusioni, forse lo stesso che era del rock’n’roll nella sua golden age, un secolo fa. Lo ha capito anche Victor Ward, il personaggio centrale di Glamorama che non può non notare, nella serata che introduce e scopre gran parte della storia “gli inevitabili furgoni delle troupe cinematografiche parcheggiati davanti, transenne, fan che spingono, la celebrità, il nome di qualcuno sul dorso dei giubbotti, ragazzini che ci guardano pensando è così che voglio sembrare, è così che voglio diventare”. Il ragazzo invece è già arrivato quando è nato, visto che è il figlio di un potente (poi si scoprirà: potentissimo) politico americano (in sentore di una candidatura molto, molto importante), ha lasciato gli studi (giurisprudenza, ovviamente) per diventare modello con contorno di rock’n’roll band (un po' singhiozzante, a dir la verità), psicofarmaci, sesso e tasche bucate. Quando ha bisogno piagnucola in un ristorante di classe, e paga il papà. Gran parte di Glamorama riesce proprio per questo: i personaggi di Bret Easton Ellis funzionano e la sua scrittura (calcolata, ironica, fredda e minuziosa) sembra fatta apposta per descrivere il mondo vacuo ed effimero della moda. E’ quando Glamorama diventa una cupissima sequenza di complotti, attentati, torture, omicidi (con effetti degni di American Psycho) che Bret Easton Ellis scivola in superficie: non tanto per gli schizzi di sangue, le mutilazioni e quant'altro (la televisione ci ha abituati a ben peggio) o perché il puzzle degli intrighi sia improbabile (tutt'altro), ma proprio perché si perde il ritmo, davvero brillante, della prima parte. E’ come se da un romanzo di Truman Capote si finisse all'improvviso in una spy story di serie b con tanto di contorno splatter. Non essendo sicuramente il primo (ne ha di strada da fare) ed avendo Glamorama comunque qualche spunto d’interesse, il giudizio su Bret Easton Ellis rimane sospeso. Meritano un applauso il titolo (splendido) e la sua definizione di celebrità (“La solita vecchia storia. Sconosciuto, astro nascente, stella, tramontato. Non necessariamente in quest’ordine”) e giova notare come viene percepito il rock (a cui manca il roll): in Glamorama è sempre presente, ma è in sottofondo, confuso tra le chiacchiere, i comunicati stampa, le liste degli invitati, gli spot pubblicitari. E’ la realtà, di fatto. Noi, naturalmente, ci asteniamo a costo di sembrare o essere nostalgici e retrogradi e al glamour continuiamo a preferire il rock’n’roll. Tutto intero: se non altro è più umano, divertente e non ha controindicazioni. 

2 commenti:

  1. Non hai capito nulla... questo romanzo è geniale! Il glamour.. ma per favore...

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    1. Forse sei tu che non hai capito la battuta. O la recensione.

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