Quella che A. M. Homes cerca di scrivere con La figlia dell’altra è “l’autobiografia dell’ignoto”, definizione mutuata dall’autobiografia di tutti di Gertrude Stein. Basta una telefonata per spalancare le porte di un mondo sconosciuto. Adottata, A. M. Homes decide di ricostruire il suo albero genealogico quando scopre l’identità della madre naturale. L’impresa è impervia e piena di crepe che si allargano in ogni direzione e non solo per la frammentarietà delle informazioni. Per risalire alle sue origini A. M. Homes deve guardare nell’oscurità perché “il mistero che avvolgeva gli eventi era assoluto, era tutto un gioco di significati nascosti e segretezza. Sotto l’elemento dell’intrigo c’era quello della vergogna, di cui nessuno parlava mai”. Oltre alla madre, A. M. Homes rintraccia il padre naturale e i rapporti che seguono sono controversi. Nel passato, un lungo segmento vuoto da riempire “c’è il folclore, ci sono i miti, ci sono i fatti e ci sono le domande che rimangono senza risposta” e si generano più attriti che vicinanza. I legami di sangue non garantiscono nulla e per restare in equilibrio la sua famiglia adottiva ha ricorso all’arma a doppio taglio dell’oblìo: “Ci è stato consigliato di essere molto cauti. Non ho conservato niente. Ci hanno detto di fare così. Niente prove, niente ricordi”. Lei resta La figlia dell’altra e le sue ricerche, pur invischiate nella storia cosmpolita dell’America, sembrano non approdare a nulla e anzi le procurano più di un momento di imbarazzo. Proprio nel bel mezzo di un incontro con i suoi lettori, A. M. Homes sente il peso delle ingombranti presenze che hanno occupato la sua vita: “Vorrei poter girare le luci dall’altro lato, verso il pubblico: anch’io ho delle domande per voi. Sono tentata di fare una scena plateale alla Lenny Bruce, interrompere la lettura e rivolgermi agli ospiti misteriosi, supplicandoli di venire allo scoperto: ehi, voi, spie di un altro pianeta, è ottobre, almeno avreste potuto mettervi un costume di Halloween, magari presentarvi travestiti da scheletri o roba simile”. Trattandosi anche dell’autobiografia di una scrittrice, La figlia dell’altra lascia intravedere l’urgenza, altrimenti dipanata per tutta la durata del romanzo, di aggrapparsi a una storia, di viverla da “amante dei particolari”, di leggerla e rileggerla senza soluzione di continuità. E’ un metodo che tradisce il senso di A. M. Homes per la storia anche se è circoscritta in modo rigoroso all’ambiente famigliare e alla ricerca interiore. Essere La figlia dell’altra implica che “c’è qualcosa di inevitabilmente sordido nel modo in cui la trama si svolge” e il suo sforzo, la sua sfida ha un valore che va ben oltre l’ambito personale. Come scrive A. H. Homes “ha a che fare con il destino, con il ciclo di vita delle informazioni. Una volta che so una cosa, lo sforzo necessario per negarla, per sospendere la consapevolezza, è enorme e potenzialmente più dannoso che il semplice procedere con quella nuova informazione e stare a vedere dove mi porta”. Toccante.
giovedì 4 agosto 2011
A. M. Homes
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Io ho letto il libro.
RispondiEliminaL'autrice, che racconta la sua storia, sembra un po' complessata.
Ma suvvia, vivi la tua vita, senza complicartela con inutili domande esistenziali... se così fosse stato... il suo culo assomiglia al mio... lei ha problemi...
Il racconto poteva prendere una piega diversa, raccontanto in questo patetico diventa palloso!!!!