lunedì 18 ottobre 2010

Richard Ford

E' fin troppo facile, quando si indovina un personaggio come il buon Frank Bascombe, lasciarsi trasportare dall'entusiasmo e concedergli una seconda puntata. A Richard Ford è successo e dopo aver indagato in lungo e in largo nei quattro giorni di Sportswriter (il suo miglior romanzo) ha scelto di dargli un'altra occasione per l'Independence Day del 1988. Se generalmente i sequel, in tutti i campi, smarriscono per strada quello che le prime puntate avevano colto, qui siamo davanti alla classica eccezione che conferma la regola perché Il giorno dell’Indipendenza è un magnifico romanzo dove la vena lirica di Richard Ford si esprime in assoluta libertà con tutto il suo gusto per il dettaglio e per la lentezza. Sotto la sua lente di ingrandimento, la vita di Frank Bascombe svela piccoli cambiamenti: non è più lo sportswriter di un tempo, ma un agente immobiliare fedele al motto “non vendi una casa a qualcuno, vendi una vita”; ha smesso di chiamare X la sua ex moglie e l’incognita è diventata più umanamente Ann; si ritrova con un figlio adolescente con qualche problemino comportamentale. Insomma: tutto a posto, niente in ordine: “Una volta arrivata a una certa età, la maggior parte delle persone sfila davanti ai propri giorni lottando tremendamente con il concetto di completezza, continuando a praticare tutto ciò che era parte di loro, come modo di conservare l’illusione di vivere pienamente”. A Frank Bascombe difficilmente riesce, anche se ormai ha trovato un senso nella sua esistenza nell'attenzione a cui si dedica ad ogni momento della sua giornata: lo salvano un filo d’ironia (“Il meglio è un concetto senza riferimento una volta che sei sposato e hai incasinato il matrimonio; forse persino dopo che hai mangiato il primo banana split, a cinque anni, e hai constatato, finendolo, che potevi anche farne fuori un altro. In altre parole lasciate perdere il meglio. Il meglio non c’è più”) e il calore con cui si avvicina agli altri anche se “comunque la verità è che conosciamo ben poco, e riusciamo a scoprire ancora meno, degli altri, anche se li abbiamo davanti, ascoltiamo le loro lamentele, andiamo con loro sulle montagne russe, vendiamo loro case, teniamo conto della felicità dei loro figli, solo per vederli sparire per sempre in un lampo o in un sussulto o nel tonfo di uno sportello d'auto. Perfetti estranei”. Questa è la sostanza: Richard Ford conosce fin troppo bene la voce di Frank Bascombe e se a questo romanzo si può imputare qualche difetto è nel suo eccesso di zelo per le descrizioni, per le minuzie, per tutti quegli angoli della quotidianità in cui s’infila per pagine e pagine. E' chiaro: Il giorno dell'Indipendenza chiama a vivere accanto a Frank Bascombe, e ci vuole pazienza per seguirlo passo per passo, visto che quell’ossessione diventerà anche la cifra del capitolo successivo, Lo stato delle cose. Ultime due note: a) i viaggi periferici di Frank Bascombe, che in apparenza sono monotoni e senza senso, prendono via via, persino nel corso di tutti e tre i romanzi, una forma ben precisa perché comunque “le destinazioni in un raggio breve sono di gran lunga le migliori”; b) ogni collegamento con l'Independence Day di Bruce Springsteen non è affatto casuale, anche se Richard Ford fa di tutto per tenerlo nascosto, ma il titolo del romanzo e la canzone di The River (nonché l’intero disco) parlano delle stesse “cose”. 

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