martedì 19 ottobre 2010

Kinky Friedman

Il Kinkster questa volta si trova davanti ad un caso da cui non può esimersi: c'è un serial killer che ammazza i cantanti del Lone Star Café. Le uniche tracce che lascia sono frammenti di canzoni di Hank Williams che, come abbiamo letto su qualche giornale, non sono il solito mieloso country & western. Come è noto, Hank Williams è un'icona fondamentale della musica popolare americana nonché il prototipo della rock'n'roll star moderna: vita brevissima e intensa, grande genio,  troppa droga e infine un bel cadavere, ancora giovane sul fondo di una “lunga Cadillac bianca”, come avrebbe detto Dave Alvin molti anni dopo. E’ stato anche una grandissima icona della cultura americana prima dell’avvento della televisione (per quella, è bastato Elvis) per cui ancora legato a un passaggio di comunicazioni e informazioni dove il mezzo tecnologico più moderno era la radio. E' ovvio che tra tutti i poliziotti, gli investigatori e i detective di New York sia proprio lui, il Kinkster alias Kinky Friedman, il candidato ideale a risolvere i casi del Lone Star Café: la sua ammirata carriera come songwriter, con una spiccata propensione all'ironia e al country & western, gli offre tutti gli strumenti per svelare l'arcano di questo strambo serial killer perché sarà proprio studiando le canzoni di Hank Williams che il Kinkster e i suoi Irregolari arriveranno alla soluzione del caso. Di più della trama di A New York si muore cantando non si può proprio dire: gli intrecci e le battute portano ad un finale a sorpresa che ogni bravo lettore può (e deve) scoprirsi da solo. Piuttosto è divertente vedere questo impunito cowboy a spasso per New York (“Comprai un paio di nuovi sigari al Village Cigars e attraversai freddamente Sheridan Square senza dare confidenza a nessuno. Con un clima come questo è necessario rimanere freddi e tirare dritti. Se non lo fai, qualche artista avant-garde di Soho potrebbe scambiarti per una scultura di ghiaccio e montarti nella sua galleria. Ma Sheridan Square bisogna stare attenti ad attraversarla con qualsiasi clima. Qualcuno potrebbe semplicemente cercare di montarti”) o nella sua vita quotidiana alle prese con i gatti, le bollette, l'organizzazione dei fine settimana e altre quisquilie che Kinky Friedman racconta sempre con una verve tanto divertente quanto intelligente. Quando cerca di comprendere Hank Williams attraverso le pagine di una biografia (quella di Chet Flippo, per inciso) si ferma all’autografo dell’autore: “Non amavo molto leggere biografie. La vita vera faceva già sufficientemente schifo per conto suo”. Il personaggio è fatto così: chi a suo tempo l'ha scoperto con Elvis, Gesù e Coca-Cola (il Kinkster più in forma che mai) non avrà quindi molte remore a seguirlo in questa avventura; gli altri hanno, con A New York si muore cantando, un'occasione ghiotta (anche per la sua brevità) per introdursi nel mondo di un narratore squisitamente vicino all'immaginario del rock’n’roll e non soltanto per il suo passato di songwriter o per la presenza del fantasma di Hank Williams, ma proprio per il ritmo, le scansioni dei dialoghi, le atmosfere picaresche e il senso generale di leggerezza della sua scrittura. 

Nessun commento:

Posta un commento