Nel corso dei secoli, dalla sua fondazione nel 1463 all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando nel 1914, Sarajevo ha sviluppato una singolare identità, dovuta a una moltitudine di fattori specifici, dalla peculiare posizione geografica ai “codici civili, politici e culturali locali” fino alla convivenza sviluppata in un complesso “sistema di identità confessionali”. Analizzando una mole sterminata di archivi, Emily Greble, storica americana specializzata in studi dell’Europa orientale e dei Balcani, ha ricucito i fili che facevano di Sarajevo “un centro di cosmopolitismo, di civiltà e urbanità”, e che sono stati recisi da una molteplice barbarie, che si è protratta nelle indicibili sofferenze di Musulmani, ebrei e cristiani nell’Europa di Hitler, come recita la sintesi stringente del sottotitolo. È così, con una straordinaria ricchezza di dettagli, ma anche con un’analisi molto accurata, che Emily Greble racconta “il modo in cui una città abitata da musulmani, cattolici, serbi ortodossi ed ebrei visse le crisi del tempo di guerra”. Il lavoro dell’accademica è notevole perché scandaglia tutti gli aspetti della quotidianità di Sarajevo tra il 1941 e il 1945, che sono puntellati dalla tragedia della guerra e di una violenza senza fine, ma la sua ottica, più che basarsi su tesi o preconcetti, è quella di affrontare giorno per giorno le dinamiche tra la municipalità, il governo degli ustascia, gli occupanti e le ripercussioni della guerra, le alleanze e i capovolgimenti di fronte lungo “le linee di divisione di unione di una città”. È una narrazione articolata, come non potrebbe essere altrimenti, ma Emily Greble sa anche, nei limiti possibili del lavoro storiografico, restare nell’ambito di un linguaggio accessibile, ricco di spunti e di elementi che risaltano nella complessa e fragile costituzione di Sarajevo. Emerge a più riprese come l’equilibrio di Sarajevo, e in particolare dei sarajlije, i suoi abitanti, provi a resistere a tutto, considerando la composizione della città come qualcosa di raro (se non proprio unico) da tutelare senza indugio. Sarajevo rappresentava “la speranza nel pluralismo e la promessa di un futuro multiculturale”, su sui si sono accanite l’invasione nazista e fascista, poi il feroce regime degli ustascia, i bombardamenti degli alleati e infine l’arrivo dei partigiani di Tito e, di volta in volta, le pulizie etniche che hanno devastato le diverse comunità. Nel suo lavoro di ricerca Emily Greble mette in risalto il ruolo della burocrazia, un aspetto non secondario, visto che le complesse strutture confessionali, etiche, politiche della vita civile venivano di volta in volta sconvolte perché “le fazioni in lotta per il potere erano talmente numerose che le alleanze politiche e militari persero di significato”. Tra le altre, Emily Greble mette in risalto il ruolo della comunità musulmana e il controverso tentativo di guadagnare una posizione di rilievo formando una divisione delle Waffen SS. Non è stata l’unica trattativa, ma il suo sostanziale fallimento con ogni probabilità è stato il più evidente nel corso della guerra e così Emily Greble annota che “a Sarajevo i musulmani furono tra i primi a rendersi conto dell’incompatibilità tra la cultura, le tradizioni e gli obiettivi della città da un lato e quelli delle parti belligeranti (tanto nazionali quanto internazionali) dall’altro”, ma ben presto toccò a tutti rendersene conto. Le amarezze e le sofferenze di un’intera città che ha provato in ogni modo a sopravvivere nella solidarietà, nel rispetto per le istituzioni e soprattutto nel pluralismo dovranno mettere in conto “i conflitti irrisolti e invisibili” che, come è noto, coveranno a lungo sotto le ceneri e riesploderanno a distanza di anni e anni.
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