Lo studio di Rachel Carson risale al 1962 e, anche se alcuni aspetti da allora sono radicalmente cambiati, proprio grazie alla sua pubblicazione, le conclusioni rimangono solidissime e sempre attuali. L’uso delle sostanze chimiche, non soltanto nel campo dell’agricoltura ma in tutto lo spettro della vita umana, è “un problema di ecologia, di correlazione e di interdipendenza”. È l’assunto principale di Primavera silenziosa a cui segue, puntuale e necessaria, la precisazione sulle decisioni che impongono il loro utilizzo e contiene inevitabilmente una critica al potere costituito perché, come spiega Rachel Carson, “tale arbitrio denuncia la temporanea intrusione di un principio autoritario nell’esercizio del potere. Essa tradisce la buona fede di milioni di cittadini, per i quali la bellezza e l’ordine del mondo naturale hanno ancora un significato profondo e inalienabile”. L’analisi è condotta su rigorose basi scientifiche e spesso e volentieri per affrontare Primavera silenziosa bisogna districarsi in un trattato di chimica industriale, tenendo a portata di mano la tavola periodica degli elementi: Rachel Carson è meticolosa nel provare l’incidenza delle sostanze chimiche sulla “natura reale della vita” attraverso l’inquinamento del suolo e delle acque. La terra è il primo fattore a subire le conseguenze dell’uso sistematico di composti chimici, a partire dall’irrorazione degli insetticidi. I danni ambientali, documentati da Primavera silenziosa con atti ed esami provenienti da tutti gli Stati Uniti, rimangono impressionanti, ma è ancora più grave l’incidenza sulla percezione stessa del territorio. Dice infatti Rachel Carson: “Se è vero che la nostra esistenza basata sull’agricoltura dipende dal suolo, non è meno vero che il suolo dipende a sua volta dalle forme viventi, dato che la sua origine e la conservazione della sua reale natura hanno un’intima connessione con la vita delle piante e degli animali. Il suolo, infatti, è stato parzialmente creato dalla vita, e la sua nascita può considerarsi il frutto di una sorprendente interazioni, in epoche remotissime, tra viventi e cose inanimate”. Lo stesso discorso vale per l’acqua: sia nel suo scorrere superficiale che in quello sotterraneo, quando viene avvelenata dai residui chimici si trasforma da fluido vitale nella catena alimentare degli esseri viventi, dal plancton ai mammiferi, a veicolo di morte e distruzione. Qui, la riflessione di Rachel Carson si estende a una considerazione più ampia e approfondita, che merita di essere affrontata per esteso: “Per le sorti del genere umano, ciò che più importa non è la vita dei singoli individui, ma il retaggio genetico, questo vincolo che ci lega al passato e al futuro. Plasmati attraverso millenni di evoluzione, i nostri geni non soltanto fanno di noi quello che siamo, ma racchiudono nella loro minuscola natura ogni prospettiva dell’avvenire, ricca di promesse o gravida di minacce”. La destinazione a cui giunge Primavera silenziosa, partendo dall’abuso delle sostanze chimiche, comprende una paio di considerazioni insindacabili nella complessità della presenza umana sulla terra: 1) “Il controllo della natura è una frase piena di presunzione, nata in un periodo della biologia e della filosofia che potremmo definire l’età di Neanderthal, quando ancora si riteneva che la natura esistesse per l’esclusivo vantaggio dell’uomo”; 2) “La vita è un miracolo che va oltre i limiti della comprensione umana ed esige rispetto anche quando ci troviamo costretti a combattere contro di essa”. Diretta conseguenza di questi due postulati, la conclusione di Rachel Carson è in effetti il richiamo a un’assunzione di responsabilità, che non è più rimandabile: “Spetta dunque a noi decidere. Se, dopo aver tanto sopportato, abbiamo finalmente rivendicato il nostro diritto di sapere, e ci siamo accorti allora che ci viene richiesto di affrontare rischi insensati e spaventevoli, perché mai dovremmo dare ancora ascolto a chi ci esorta a cospargere il nostro mondo di veleni chimici? Guardiamoci piuttosto attorno e cerchiamo di vedere se esiste un’altra soluzione”. Per cui più degli slogan e dei proclami servono “migliaia di piccole battaglie destinate a far trionfare il buon senso e la ragionevolezza nel nostro adattamento al mondo che ci circonda”. Impegnativo, ma necessario.
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