giovedì 3 settembre 2015

Alice Munro

Uno degli aspetti più affascinanti di Alice Munro è l'intimità del suo rapporto con la scrittura, definita a più riprese come qualcosa di irrinunciabile, spontaneo, necessario e naturale, “come respirare”. Nello stesso tempo, la gestione è complessa e articolata per sua stessa ammissione: “Mi sembra di riuscire ad afferrare quello di cui devo scrivere con grandissima difficoltà”. Nei racconti di In fuga questa sensazione è palpabile e si nota nella loro meticolosa elaborazione. Alice Munro, qui ormai con un'esperienza consolidata e riconosciuta, sa che l'incipit è (sempre) fondamentale e nelle short stories, visti gli stretti margini di manovra, vale l'intera posta in gioco. Tutti gli inizi di In fuga potrebbero essere adottati come esempi in qualsiasi corso di scrittura creativa, a partire dalle prime, fenomenali sei righe di Fatalità: “Nel 1965 il semestre a Torrance House si conclude a metà giugno. Juliet non ha ricevuto l'offerta di un impiego stabile, l'insegnante che ha sostituito si è rimessa in salute, perciò ora potrebbe riprendere la via di casa. Ma ha deciso di concedersi quella che ha definito una breve deviazione. Una breve deviazione per far visita a un amico che abita su al nord, lungo la costa”. Lo stesso si potrebbe dire del passo iniziale di Passione: un altro lungo e brillante incipit che sembra ricollegarsi come un circuito chiuso al finale dove la protagonista parla di “avviare una vita”. Qualcosa comincia proprio dove Passione finisce lasciando al lettore la facoltà di fantasticare un seguito, o tornare al via. Quello che Alice Munro non concede all'immaginazione è l'ambiente e il paesaggio: in Passione, come in Poteri, come ovunque nei suoi racconti, la descrizione dello scenario naturale naturale, così assidua, appassionata, florida, scorre parallela e costante ai temi, agli incontri e alle partenze degli uomini e (soprattutto) delle donne e contribuisce in modo determinante a creare l'atmosfera, il tono, lo stile. Quando poi ci si addentra nelle storie, serve molta attenzione, se non proprio la capacità di immedesimarsi nei personaggi, perché Alice Munro è capace di cambiare prospettiva nel giro di poche frasi, passando da forme introspettive (come succede in Scherzi del destino: “I ricordi, attraverso il ricamo della memoria, non facevano che scavare solchi più profondi. E' importante che ci siamo incontrati. Sì. Sì”) a divagazioni in cui affiorano i Beatles, Colazione da Tiffany e Johnny Mercer o “una specie di jazz” (non meglio identificata, ancora in Scherzi del destino), anche se la vera, continua citazione è Shakespeare e le fonti di ispirazioni rimangono Eudora Welty, Flannery O'Connor, Katherine Ann Porter, Carson McCullers perché è leggendole che ha scoperto“che le donne potevano scrivere di cose particolari, di ciò che è marginale”. Resta da dire che il trittico composto da In fuga, Fatalità e Silenzio è il maggior sforzo di Alice Munro per avvicinarsi al romanzo, visto che la protagonista è sempre la stessa Juliet, ma poi è come se attraverso le parole dei suoi personaggi prendesse forma un'altra visione: “Cambia la percezione di ciò che è possibile, di ciò che è successo, non solo di quello che può succedere ma di quello che è successo. La mia vita è piena di realtà sconnesse e le vedo nella vita degli altri. E' stato uno dei problemi, del perché non sono riuscita a scrivere romanzi, non sono mai riuscita ad avere una visione complessiva nel loro insieme”. Nobile ammissione, i racconti bastano e avanzano.

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