Se
la dimensione di un classico si misura attraverso la sua atemporalità, allora Tutti
gli uomini del re è una pietra
miliare della narrativa (americana, e non solo) nel ricostruire le deformazioni
del potere, degli uomini e delle donne dentro il potere, nella sua espressione
più appariscente, la ricerca del consenso. Sesso, soldi, politica, famiglia:
legati in modo indissolubile, confluiscono in una palude morale, dove menzogne,
tradimenti, rivalse e vendette sguazzano senza sosta come mocassini acquatici (e
più velenosi). Il romanzo è molto più delle sue riduzioni cinematografiche e la
differenza non è relativa. Da cronista della provincia americana, Jack Burden
diventa uno degli spin doctor di Willie Talos, un parvenu dell’agone politico
che si presenta così: “Il mio verbo è il cuore del popolo”. Secondo il parere
(rispettabilissimo) di Joyce Carol Oates è il suo personaggio a conferire un
“valore eterno” a Tutti gli uomini del re, e non c’è dubbio che Willie Talos abbia i parametri giusti per essere
ricordato nei secoli. Al fondo degli eventi, è però il suo rapporto con Jack
Burden a definire il sinuoso corso di Tutti gli uomini del re. Jack Burden proviene da una famiglia ricca e
dissoluta, con una madre volitiva e amici fraterni e altrettanto altolocati come
Anne e Adam Stanton, che hanno avranno un ruolo decisivo nell’evolversi di Tutti
gli uomini del re. Willie Talos viene
dalla terra, dal fango, dalle radici e diventa governatore senza particolari
ambizioni politiche, visto che la sua considerazione della democrazia è
lapidaria: “Prova tu ad andare lì e ficcare un po’ di buonsenso in quel
parlamento. Stai meglio se ti becchi la dissenteria”. Quando Jack Burden
accetta di lavorare per lui, la svolta è un salto mortale: “Sono un politico, e
noi non abbiamo amici”. A quel punto soltanto l’amore platonico tra Jack Burden
e Anne Stanton rimarrà l’unica cosa pulita e non consumata di tutta una storia
che corre spedita verso la tragedia. I semi sono già gettati fin dall’inizio
perché “quando si vuole troppo, di solito ti succede qualcosa. Ti trasformi
nella sola e unica cosa che desideri, nient’altro, perché hai speso troppo per
lei, troppo tempo ad aspettarla, troppo nel desiderarla, troppo per
raggiungerla. E alla fine ti fanno solo quelle domandine di merda”. Robert Penn
Warren pennella a tinte forti, grezze, impressionanti, una scrittura florida e
fluida nello stesso tempo, americana nella sua profonda essenza popolare. Fin
dal primo capitolo, maestoso, che potrebbe essere un racconto, fatto e finito,
ma poi affascina, per esempio, anche soltatno per come inserisce i personaggi
minori, dislocati nei punti strategici, con una gran classe e una
personalissima disinvoltura. Con le stesse modalità piazza le scene principali,
a partire dall’incontro con il giudice Irwin, nel pieno della notte, mentre
Willie Talos diventa “il simbolico portavoce del muto ed encefalitico popolo
dei probi” ed essendo uno di loro, dispone del potere che gli è stato conferito
per difendere, insieme alla sua gente, anche se stesso. Questo è il refrain
nella storia della democrazia; questo racconta un grandissimo romanzo come Tutti
gli uomini del re.
che coincidenza! stavo giusto cercando un romanzo di Warren...sto leggendo un saggio, capitatomi per caso, sulla letteratura americana di quel periodo e sul new criticism che ne è corrente letteraria e di cui ero completamente ignara, lo vedi che il tuo blog è per me sempre una fonte preziosa!? un caro saluto
RispondiEliminaMaria