I
cecchini hanno avuto un ruolo non relativo nella storia degli Stati
Uniti. Da JFK a Martin Luther King, ogni rivoluzione finisce nel
centro di un mirino lasciando il sospetto che toccare lo status quo
sia un peccato mortale, nel vero senso della parola. Succede qualcosa
di molto simile anche nella vita di Lew Griffin, il personaggio di
James Sallis che abbiamo imparato a conoscere per le sue proverbiali
capacità di finire quasi per inerzia nei meandri più oscuri
dell’esistenza. Sono gli anni del movimento dei diritti civili e
uno di quegli sniper destinati ad influenzare il corso degli eventi
sceglie i suoi bersagli tra le vie di New Orleans. Neanche a dirlo,
colpisce gli afroamericani e sembra essere imprendibile. Ovvero,
qualcuno lo protegge, lo nasconde e lo difende. Una sera colpisce una
giornalista che sta indagando sui suoi omicidi ma, vuole il caso (o
come scrive James Sallis: “Ci mettiamo un po’ di tempo a capire
che le nostre vite non hanno trama”) che proprio in quel momento al
suo fianco c'è Lew Griffin, che se la vede spirare tra le
braccia. Il
calabrone nero diventa
così una partita a due, fino a quando non irrompe sulla scena anche
Don Walsh (a lui il cecchino ha ammazzato un fratello). La caccia
all'uomo, sui tetti e nei vicoli di un’ombrosa New Orleans comincia
da un presupposto che è più filosofico che poliziesco: “Non siamo
mai invisibili come crediamo. E neanche ciò che ci muove lo è”.
Con questo assunto, Lew Griffin si ritroverà persino nel bel mezzo
di una rivolta, dove per la prima volta, il suo intervento farà
fallire il cecchino inaugurando così la fase finale della sua
esistenza. Come già successo negli altri episodi della saga di Lew
Griffin (in tutto sono sei i romanzi che lo vedono protagonista e
vanno segnalati, oltre al Calabrone
nero,
almeno La
mosca dalle gambe lunghe e La
falena),
gli aspetti noir del romanzo sono soltanto il tessuto su cui James
Sallis ricama le sue prospettive sulla città, sui rapporti tra
uomini e donne, e sulla vita in generale. Essendo poi il cecchino una
variabile piuttosto incontrollabile, Il
calabrone nero (che,
detto per inciso, è il libro più immediato, diretto e forte di
tutta la serie) sembra perfetto per raccontare l'insostenibile
incertezza dell'esistenza: “Qualcuno ha detto, una volta, che la
vita non è altro che congiunzioni, un accidente di cosa dopo
l'altra. Ma gran parte della vita è disconnessa. Sei lì che te ne
vai tranquillo, becchi in pieno una buca e finisci in un'altra vita,
che neanche sai riconoscere. Ogni giorno ti muovi in dieci direzioni
diverse, ti trasformi in dieci persone diverse; di queste, alcune
riescono a tornare a casa la sera, altre no”. La filosofia di James
Sallis, molto pratica e pertinente, regge sempre, anche sulla
distanza perché accompagnata da una scrittura secca, immediatata,
persino ruvida in alcuni passaggi, ma intonata alla perfezione con i
personaggi, con i paesaggi e con le dimensioni storiche e sociali che
non manca di affrontare. Consigliatissimo.
Letto l'anno scorso, piaciuto.
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