mercoledì 4 settembre 2024

S. A. Cosby

Il sangue dei peccatori condensa molti contrasti che sono d’attualità nell’America del ventunesimo secolo: nero/bianco, giustizia/politica, pubblico/privato, fede/razionalità, uomo/donna, giovane/anziano, Nord/Sud, carnefice/vittima. È un continuo ondeggiare tra questi estremi e il romanzo matura una forza centrifuga perché Titus è uno sceriffo di colore in una contea della Virginia e si trova proprio nell’epicentro di tutti i conflitti. Dato il carattere elettivo della sua carica, è una posizione in bilico. Deve essere una guida, e un esempio, per la sua squadra e per la comunità di Charon, ma il susseguirsi degli eventi lo mette a dura prova, fino al punto di dover mettere in discussione la propria personalità: “Era quello il problema, se facevi il poliziotto. Poco alla volta cominciavi a sospettare di chiunque, e prima o poi finivi col tagliare il mazzo due volte giocando a carte con tua moglie”. Il sangue dei peccatori comincia con una sparatoria nella scuola locale, anche questo un lugubre primato americano. Uno studente (nero) uccide un professore prima di essere falciato da una raffica di colpi degli agenti dello sceriffo. È solo l’inizio, perché lo scontro a fuoco fa da traino all’apparizione di un serial killer particolarmente efferato che lascia le sue vittime martoriate dentro uno scenario di simboli cupi e inquietanti. Titus intuisce subito che c’è un collegamento perché “la violenza è sempre la confessione di un dolore”, ma è combattuto tra legami fragili e delicati (il padre, il fratello, la fidanzata) e sulla scena (in aggiunta) arriva la sua ex, una giornalista che alimenta un suo podcast, oggi funziona così. Titus deve affrontare tutta una serie di prove, e di fronte alla corruzione e all’ingerenza della politica, alle carenze strutturali delle istituzioni e alle divisioni sociali, è costretto a compiere scelte repentine, alcune giuste e altre sbagliate, al punto di ammettere: “Non si faceva illusioni. Sapeva chi era e cos’era. Per molta gente era il diavolo. E lo accettava. Però era un diavolo che andava a caccia di demoni”. Nell’inseguimento attraverso la Virginia e l’Indiana, il presente e il passato (ecco un’altra ingombrante contrapposizione), chiese e sette, suprematisti e oppositori, Titus cerca di rispettare le regole che deve imporre e difendere: lo sceriffo deve essere irreprensibile, ma tutto intorno a lui è un continuo distinguersi, sollevarsi, ribellarsi. Non è facile espletare così il mandato, ma “esiste un genere di caos che a volte può dare l’impressione di muoversi secondo un ordine. Quando certe situazioni caotiche continuano a ripetersi, da questo meccanismo emergono degli schemi”. Il racconto è tumultuoso e senza tregua perché nello sviluppo della storia tutta la contea subisce in un modo o nell’altro le conseguenze delle fibrillazioni che l’attraversano. Il ritmo incessante e la suspense sono garantiti dalla scrittura essenziale e senza fronzoli di S. A. Cosby, ma nella migliore delle tradizioni del thriller Il sangue dei peccatori tocca temi rilevanti e viene usato per raccontare l’America di oggi, con quelle spaccature dovute a un passato che non vuole passare, con tutte le vessazioni e le meschinità nascoste dietro la placida costruzione di una cittadina di provincia. I colpi di scena arrivano uno dopo l’altro e qualche cliché del genere è da mettere in conto, ma non toglie nulla alla qualità del romanzo che ha una sua solida aderenza alla realtà, compresa la malinconica bellezza del finale. Da tenere d’occhio.

Nessun commento:

Posta un commento