“Dicono che l’unica possibilità che hai di trovare un brav’uomo è di essere cresciuta da un brav’uomo” si scopre in un dialogo di La notte arriva sempre e la citazione tra le righe di Flannery O’Connor svela molto, se non tutto, del romanzo di Willy Vlautin, dove gli uomini bravi, o soltanto gentili, latitano. Sono le donne a tirare avanti, spesso in condizioni proibitive, come succede a Lynette e a sua madre, che devono curarsi anche di Kenny, che è limitato, e ha bisogno di costanti attenzioni. Vivono in una casa in affitto, hanno occupazioni oneste, e sbarcare il lunario, giorno per giorno, è l’unica aspirazione concreta. Almeno fino a quando Lynette non riesce a racimolare un gruzzolo per mettere insieme l’anticipo necessario ad acquistare la casa. “È una cosa stupida voler comprare qualcosa?”, si chiede, giustamente, ed è sottinteso che diventare proprietari diventa una sorta di ultima spiaggia, una rivendicazione, una forma di redenzione, dopo un’esistenza di fatiche e sofferenze. Solo che si tratta di confrontarsi con le variabili insondabili (e il più delle volte incomprensibili) che regolano il mercato immobiliare e, di pari passo, quello finanziario. Seguendo le parole d’ordine, smart, slow e green, Portland, Oregon è diventata cool e ha raggiunto costi proibitivi, ma a Lynette basterebbe riscattare la modesta abitazione dove hanno vissuto fin lì. L’idea scardina l’equilibrio tra madre e figlia già reso precario dall’alcol e dai rispettivi fallimenti sentimentali, perché un uomo, comunque sia, non è facile da trovare. Per Lynette diventa una questione di vita o di morte e nel lasciarsi trascinare dall’ossessione, spalanca uno spiraglio sui suoi lati oscuri. La mossa di Willy Vlautin, spingere la protagonista a scavalcare la linea di demarcazione tra lecito e arbitrario, contiene un quesito morale, e insieme un interrogativo, che abbraccia tutto il romanzo e lo condiziona. L’empatia per Lynette è immediata, per gli sforzi che fa, per l’idea di riscriversi il futuro, per il confronto con la madre (che è durissimo e alimenta le pagine più toccanti del romanzo), ma si trova ad agire da fuorilegge però senza poter essere giudicata perché si muove in un territorio che è tutto fuorilegge o almeno in una twilight zone dove la distinzione tra non è chiara, anzi. In quel momento, lo scomodo passato di Lynette emerge piano piano mentre insegue il sogno di avere una casa. L’argomento è spinoso, soprattutto dopo la crisi dei mutui subprime, che ha travolto ogni cognizione di causa (e, a proposito di legalità, ce ne sarebbe da dire), e ancora di più, per la natura stessa dell’evoluzione del tessuto urbano di Portland, Oregon, così come di ogni altra metropoli americana. Le deviazioni urbanistiche sono ben sottolineate dai pellegrinaggi diurni e notturni di Lynette che toccano i quartieri come se fossero enclavi separate dal resto della città. Il contrasto ambientale è fortissimo e mette in risalto l’ambiguità di fondo raccontata da Willy Vlautin. La notte arriva sempre e continua il giorno dopo perché Lynette nello sforzo di racimolare i soldi è andata prostituendosi e ha annodato il suo destino a una serie di personaggi che prosperano in un mondo periferico e sotterraneo, palesemente senza alcuna speranza, perché “certe persone sono semplicemente nate per affondare”. Lì, in un ambiente di predatori, c’è una condizione più diffusa di quello che sembri, dove è facile trovarsi nella situazione sbagliata, e senza rimedio, perché “a tanta gente non interessa fare qualcosa di buono. Tanta gente vuole solo spingerti da parte e prendersi quello che vuole”. Nessuno si avventura più nella jungleland e Willy Vlautin la descrive con metodo, onestà e coraggio e con molta precisione. La ribellione di Lynette è influenzata da quell’habitat e, tentativo dopo tentativo, il suo viaggio nei bassifondi assume tinte fosche e violente, ed è come se ritrovasse una parte di se stessa: non giusta, non bella, ma vera, che piaccia o no.
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