mercoledì 19 maggio 2021

William Carlos Williams

L’apologia di William Carlos Williams per l’immaginazione parte con un ritratto evocativo che rende alla perfezione il tono coltivato con La primavera e tutto il resto. Quando dice che “come le ali dell’uccello battono l’aria solida senza la quale nessuno potrebbe volare, così le parole liberate dall’immaginazione affermano la realtà con il loro volo”, sceglie una metafora sensazionale perché “a mani nude l’uomo lotta con il cielo, senza esperienza dell’esistenza, cercando di inventarla e progettarla”. All’interno di questo conflitto, secondo William Carlos Williams “il lavoro sarà nel reame dell’immaginazione tanto semplice come il cielo sta al pescatore, una frase piena di nuvole. La parola deve essere buttata giù per se stessa, non come simbolo della natura ma come una parte, conscia del tutto, avvertita, progredita”. Una consapevolezza che apre più di una breccia: è un continuo solleticare il confronto con l’essenza della parola ed è spiazzante perché William Carlos Williams non concede punti di riferimento e lascia alla deriva ogni luogo comune, senza alcun rimpianto, dato che “la parola non è liberata, e quindi capace di comunicare sollievo dall’immobilità che la distrugge, finché non sia accuratamente intonata al fatto che, dandole realtà, dalla sua stessa realtà stabilisce il suo essere assolta dalla necessità di una parola: così è resa libera e dinamica nel medesimo tempo”. Per questo leggere La primavera e tutto il resto è come “entrare in un nuovo mondo e avere lì la libertà di movimento e di innovazione”. È chiarissimo l’afflato di William Carlos William per una percezione della scrittura allargata e a più dimensioni, che si estende alla comprensione della poesia e della prosa, alla distinzione e insieme alla collocazione delle due forme espressive. Per tracciarne i rispettivi confini e gli infiniti punti di contatto vengono spesi molti versi e molte opzioni, tenendo conto che “la prosa ha a che fare con il dato di fatto di un’emozione; la poesia ha a che fare con la trasformazione dinamica dell’emozione in una forma separata”. Nello stesso tempo, William Carlos Williams sa che c’è un’energia che le unisce laddove “la poesia libera le parole dalle loro implicazioni emotive, la prosa le rafforza. Entrambe si muovono centrifughe e centripete rispetto all’intelligenza”. Nello stesso modo La primavera e tutto il resto ha non poche sorprese e cambi di direzione repentini che stupiscono, nell’immediato, ma sono componenti logiche nel tenere alta la tensione, anche sfoggiando l’arte della dissimulazione nell’ammettere che “io stesso provo ad entrare nell’agone con queste poche annotazioni, buttate giù nel mezzo dell’azione, sotto circostanze distraenti, per ricordare a me stesso (vedi p. 2, paragrafo 4) la verità”. La primavera e tutto il resto contiene, nella sua visionaria moltitudine, contiene Edgar Allan Poe e Marian Moore, Walt Whitman e William Shakespeare, ma William Carlos Williams sa che sarebbe tutto pleonastico, se non inutile, senza il concorso del lettore a cui rivolge un accorato appello: “Nell’immaginazione, siamo d’ora in poi (finché tu leggerai) racchiusi in un fraterno abbraccio, la classica carezza dell’autore e del lettore. Noi siamo una cosa sola. Ogni volta che dirò io, intenderò tu. E così, insieme come cosa sola, cominceremo”. Allora le parole scritte e/o lette scavano in profondità, perché “se qualcosa al momento verrà fuori, tanto meglio. E più probabilmente ciò accadrà, tanto più non ci sarà nessuno che vorrà vederlo”. Nella terra comune, così definita, l’immaginazione “attacca, mescola, anima, è radioattiva in tutto ciò che può essere toccato da un’azione. Le parole accadono in una liberazione grazie alla virtù del suo processo”. Nel flusso effervescente e irriverente che anima La primavera e tutto il resto è facile perdere l’orientamento e se ne avvede anche William Carlos Williams che pare scusarsi quando dice “capisco che i capitoli siano piuttosto rapidi nella loro sequenza e che non vi sia contenuto niente di che ma nessuno oggi dovrebbe esserne sorpreso”. È solo un piccolo momento, un altro diversivo, poi la poesia, e la prosa, La primavera e tutto il resto fanno parte di un esercizio, di un’elevazione, di una pratica per cui “compresa per via pratica, senza far appello a operazioni mistiche, di questo o quell’altro ordine, è così che la vita diventa attuale, solamente quando identificata con noi stessi. Quando la nominiamo, la vita esiste”. Solo con l’immaginazione, e con le parole giuste.

Nessun commento:

Posta un commento