Come puntualmente annotava Mario Maffi tra le pagine di Nel mosaico della città, “il gruppo etnico di gran lunga più dotato di voce propria era quello proveniente dall’Europa orientale e, al suo interno, la comunità ebraica”. In fuga dalla Russia degli zar e dei pogrom, per un’intera generazione l’America non è soltanto l’ultima speranza a cui dedicare (all’esorbitante costo di cinquanta rubli per il viaggio) tutte le ultime risorse. È una nazione circondata da “leggende dorate”, in pratica un miraggio. Bisogna tenere ben presente questo background nell’incontrare i protagonisti di Cuori affamati di Anzia Yezierska: siamo nel Lower East Side di New York, nei primi anni del ventesimo secolo dove i migranti europei, russi ed ebrei in particolare, si scontrano con la realtà, e scoprono che “in America non si vive nella speranza del paradiso. In America tutti devono badare a se stessi”. La dicotomia tra il sogno e l’aspra, durissima concretezza della quotidianità è palese fin dal primo racconto, Ali, in cui Shenah Pessah si innamora di John Barnes, un inquilino nelle stanze dove lei fa la sguattera. Per poter uscire con lui con un vestito dignitoso, Shenah porta al banco dei pegni una preziosa trapunta, l’unico bagaglio importante che gli è rimasto dalla Russia. Il sacrificio sarà relativo, ma serve a capire che i Cuori affamati nell’America inseguono anche un sogno sentimentale, come del resto succede a Sara Reisel in Il miracolo. Questo spiega, tra l’altro, il senso per il melodramma per quello che Anzia Yezierska chiama il “fuoco drammatico”, ovvero una lingua sincopata, bruciante farcita di espressioni gergali, che in sé è l’espressione “di un enorme, quasi ossessivo, desiderio, una fame d’amore, bellezza, conoscenza, identità, che cresce e si gonfia ma resta inappagata”, come scrive ancora Mario Maffi. Shenah Pessah è al centro anche di Fame, dove sceglie di diventare operaia e scopre “la meraviglia di una fabbrica, gente, gente, oceani di teste piegate e di mani indaffarate, il frastuono delle macchine, i nastri trasportatori in aria, il ticchettio degli ingranaggi che vorticavano, tutto si fondeva e si mescolava in un unico e inarrestabile canto di speranza, di nuova vita, un nuovo mondo, l’America”. Una sottile linea separa l’America immaginata da quella reale ed è percorsa da Hannah Breineh, un personaggio ricorrente in Cuori affamati a cui Anzia Yezierska riserva destini contrastanti. Nello straziante Bellezza perduta, Hanneh rinnova la stanza dove vive in attesa che il figlio torni dal fronte e la tinteggiatura inaugura una serie di contraccolpi che la ridurrà alla miseria. Altrove, grazie ai figli, avrà più fortuna, come in Il grasso della terra, ma la crisi d’identità è dietro l’angolo perché come scrive Waldo Frank: “Andiamo tutti alla ricerca dell’America. E nella ricerca la creiamo. Nella qualità della nostra ricerca dev’essere la natura dell’America che creiamo”. È così che i Cuori affamati di Anzia Yezierska sono tutti collegati da un grado di parentela o da un dettaglio, dall’idea che “l’America è di tutti”, dall’anelito a un’esistenza migliore e, più di tutto, come dice la protagonista di Acqua e sapone, da quel “sogno dell’irraggiungibile” che resta “l’unico rifugio in cui l’anima poteva sopravvivere”. L’amarezza non fa sconti: le buone intenzioni, la beneficienza e l’elemosina sono insufficienti ad arrivare alla fine della giornata e le asperità della vita in un quartiere brulicante di povertà smentiscono ogni desiderio, come ben riassume la voce di Come trovai l’America: “Tutte le speranze a cui m’ero aggrappata, ogni sentimento umano, ogni possibilità, mi veniva strappata via sotto il naso. Affondai in un’oscurità senza fine, desideravo soltanto morire. Allora, quell’antica fiducia nell’America, la terra dell’oro tanto amata, invocata, era stata solo un sogno, un miraggio vagheggiato dalla gente dal cuore affamato, nel deserto dell’oppressione?”. A più di un secolo di distanza, i Cuori affamati di Anzia Yezierska ci dicono che l’America è la promessa e la sua negazione, ancora oggi.
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