lunedì 14 ottobre 2019

Stephen King

L’istituto ha una planimetria che, in tutti i suoi livelli, sprofonda in cavità sotterranee che nascondono persino un forno crematorio. Senza dubbio, già la forma è quella di un’istituzione totale, visto che corrisponde alla definizione di Erving Goffman in  Asylums, ovvero è un “luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che, tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo, si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato”. C’è qualcosa di peggio: L’istituto è il capolinea per frotte di bambini rapiti, per via di presunte capacità paranormali, e destinati a diventare l’ennesima arma segreta e imbattibile. E qui Stephen King distingue subito e con premura i buoni dai cattivi: L’istituto è retto da uno staff particolarmente odioso che ha in Julia Sigsby e Trevor Stackhouse i suoi apici, ma alti gradi di perfidia e sadismo sono distribuiti tra il personale come quel virus riconosciuto anche da Asylums: “Quando si agisce su gruppi di individui, accade che essi siano controllati da un personale la cui principale attività non risulta la guida o il controllo periodico (come può essere in molti rapporti fra datore di lavoro e lavoratore), quanto piuttosto un tipo di sorveglianza particolare, quale quella di chi controlla che ciascun membro faccia ciò che gli e stato chiesto di fare, in una situazione dove si tenderà a puntualizzare l’infrazione dell’uno contrapponendola all'evidente zelo dell’altro che, per questo, verrà costantemente messo in evidenza. Che sia il gruppo di persone controllate a precedere il costituirsi del piccolo staff controllore o viceversa, non è questo il problema; ciò che conta è che l’uno è fatto per l’altro”. La vera battaglia è mentale, sembra suggerire Stephen King: L’istituto nega l’individualità, ben rappresentata dal talento genialoide di Luke, la cui intelligenza associata agli effettivi poteri di Avery, sarà determinante nel fomentare la rivolta contro le nefandezze umane che, dietro le mura dell’istituto (poi, degli istituti, come si scoprirà), trovano lo spazio vitale per diffondersi. Gli aspetti più protervi e feroci, le torture, gli esperimenti, la negazione in sé dell’habeas corpus con la l’idea di formare delle “reclute” nascono nei contorni di un retaggio militare e di un malcelato senso di patriottismo, dietro cui si sono protratti i peggiori abomini (illegali) e sono le condizioni primarie per cui esiste e prolifera L’istituto. Hanno un ruolo pesante nella costruzione della storia insieme ai cliché che Stephen King distribuisce come ingredienti che conosce da sempre, che assembla a modo suo, con uno stile consolidato e intaccabile. Stephen King riflette e usa anche i luoghi comuni (per dire: l’unione fa la forza) e ricicla per l’ennesima volta l’idea di It, almeno nelle linee generali, dove i bambini combattevano (gli unici a poterlo fare) contro un mostro grande quanto l’intera città. Dentro L’istituto devono lottare con qualcosa di peggio: la forma stessa dell’istituzione, il mondo oscuro degli esperimenti dei governi si nutrono della “mortificazione” degli individui  ovvero si affidano“alla mutilazione personale che deriva dall’essere privati del corredo per la propria identità”, così come la definiva Erving Goffman. La struttura implica regole coercitive, e le costrizioni, le violenze, le privazioni, gli esami ed gli esercizi degni del dottor Mengele, hanno finalità del tutto imperscrutabili. È evidente che c’è qualcosa di malefico, ma L’istituto, come ogni istituzione, ha qualche falla nella sua rigida struttura. È fisiologico: pigrizia, noncuranza, ripetitività lasciano uno spiraglio a cui Luke, più intelligente che telepatico e telecinetico, si avvia ad affrontare anche grazie alla collaborazione della totalità degli abitanti di una small town sudista, che dispongono di armi e orgoglio sufficienti per mettere a soqquadro qualsiasi operazione speciale, militare o meno che sia. Un altro stereotipo, utile a Stephen King per spingersi oltre la missione di “rendere plausibile l’impossibile”, perché L’istituto rappresenta e contiene, per quanto dissimulate nel rocambolesco evolversi del racconto, le idiosincrasie delle istituzioni e delle loro deformazioni, lasciando intuire, nella sua concezione, un afflato orwelliano tutto da decifrare.

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