Una tortura deliziosa è un coacervo di pagine selezionate dai romanzi di Henry Miller, più sprazzi di lettere e appunti che, nell’insieme, prendono forma e costituiscono uno spettro efficace degli strumenti, delle idee, delle possibilità e dell’imprevedibilità dell’arte e della scrittura in particolare. Come è logico che sia, Henry Miller parte da se stesso, con una considerazione che ha un po’ la forma di una pietra angolare: “Io ho cominciato nel caos e nel buio assoluto, in un pantano o palude di idee, emozioni ed esperienze. Ancora adesso non mi considero uno scrittore, nel senso comune della parola. Sono un uomo che racconta la storia della sua vita, un’operazione che sembra diventare sempre più inesauribile man mano che vado avanti. È infinita come l’evoluzione del mondo”. L’equazione che somma e nello stesso tempo divide l’arte e la vita diventa lo spunto per una ricca serie di congetture, che attingono da La saggezza del cuore (“L’arte è solo un mezzo per realizzare la vita, una vita più ricca. Non è in sé quella vita più ricca. Indica solo la strada verso qualcosa che sfugge non solo al pubblico, ma molto spesso all’artista stesso”) come da da L’occhio cosmologico (“Solo che l’arte, l’arte di vivere, implica un atto di creazione. L’opera d’arte non è nulla. È solo la prova tangibile, visibile di un modo di vivere che, se non è folle, è sicuramente diverso da quello comunemente accettato. La differenza sta nell’atto, nell’affermazione della volontà e dell’individualità. Per un artista è un suicidio attaccarsi al suo lavoro o identificarsi con esso. Un artista dovrebbe essere capace non solo di sputare sull’arte dei suoi predecessori, o su tutte le opere d’arte, ma anche sulle proprie. Dovrebbe saper essere sempre un artista, e infine non essere affatto un artista, ma un’opera d’arte”) e che infine trovano una plastica riduzione quando Henry Miller scrive in una lettera ad Alfred Perlès, che “l’arte più nobile è l’arte di vivere”. I reperti antologici insistono sul tema con un’escalation di aforismi che rendono Una tortura deliziosa una validissima mappatura del pensiero di Henry Miller. Se in Tropico del Capricorno scriveva che “ogni uomo elabora il proprio destino e nessuno può essergli d’aiuto, se non con la sua gentilezza, generosità, pazienza”, altrove non rinuncia alla sua (sacrosanta) vis polemica e ricorda che “un vero uomo non ha bisogno di governi, di leggi, di codici etici o morali, e meno che mai di navi da guerra, manganelli della polizia, bombardieri di grande potenza e cose del genere”, così come specifica di essere “contrario alle rivoluzioni perché implicano sempre un ritorno allo status quo. Sono contrario allo status quo sia prima che dopo le rivoluzioni. Non voglio mettere né la camicia nera né la camicia rossa. Voglio mettere la camicia che più mi piace. E non voglio neanche scattare sull’attenti come un automa. Preferisco stringere la mano quando incontro qualcuno che mi è simpatico. Per dirla in parole semplici, il fatto è che sono decisamente contrario a tutte queste stronzate che si fanno in nome di questo e poi in nome di quello. Credo solo in ciò che è attivo, immediato e personale”. L’aspetto intimo, privato, volendo persino introspettivo (“La vita comincia in qualsiasi momento, con una presa di coscienza”), fanno da contrappunto i suoi rilievi ad alta voce sull’ispirazione (“Se sapessimo cosa significa essere ispirati, non ispireremmo nessuno. Ci limiteremmo a essere”) e sulla felicità (“Mi sento molto felice dei brutti tempi ai quali stiamo sopravvivendo e ai quali siamo sempre sopravvissuti. Sono felice di essere un verme in questo cadavere che è il mondo” scriveva nelle Lettere su Amleto) che poi si riallacciano all’inizio della “tortura deliziosa”. La soluzione è un atto di fede laico e libero e critico, persino nei confronti del connubio tra vita e arte: “Ho fiducia nell’uomo che sta scrivendo, che sono io, lo scrittore. Non credo nelle parole, anche se sono state messe insieme l’una dopo l’altra dal più abile degli uomini: credo nel linguaggio, che è qualcosa che va al di là delle parole, qualcosa di cui le parole danno un’illusione inadeguata”. È il senso, preciso, perfetto, in sintesi di Una tortura deliziosa a cui si può sfuggire soltanto in un modo, come recita a se stesso, con un singolare (e sempre valido) imperativo: “Resta umano! Vedi gente, va’ in giro, bevi se ne hai voglia”. Henry Miller al 100%.
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