giovedì 24 maggio 2012

Bruce Springsteen

Nel grande romanzo americano di Bruce Springsteen che parte dallo stile “impressionistico” (la definizione è tutta sua) di Greetings From Asbury Park, NJ e prosegue evolvendosi in modo spesso radicale, perché la sua scrittura ha preso forme molto diverse, è sempre ben visibile lo spirito da storyteller. Anche se gli argomenti, i temi e le trame sono cambiati nel corso degli anni, Springsteen ha mantenuto saldo il suo rapporto con la scrittura, a volte asciugandola, a volte limandola, ma restando a stretto contatto con i suoi personaggi, che sono sempre stati l’elemento fondamentale nelle sue storie, un punto di riferimento ineludibile, come dice lo stesso Springsteen in un angolo molto interessante di Songs: “In sostanza, io scovo i personaggi e li ascolto. Questo apre una serie di domande sul loro comportamento: cosa farebbero? Cosa non farebbero mai? Cerco di identificare il ritmo del loro discorso e il loro modo di esprimersi”. Questo è il leitmotiv della voce narrativa di Springsteen, che poi è anche il nucleo della sua musica. Tanto è vero che, almeno da Darkness in poi, ha voluto infondere ai personaggi, attraverso un costante riflesso autobiografico, le sue stesse emozioni, ovvero “le stesse paure e speranze” e questo è un gesto indispensabile alla credibilità della storia perché, ammette lo stesso Springsteen “se non lo fai, i tuoi personaggi suonano vuoti e rimani solo con la retorica, parole senza significato”. Spesso il narratore e i suoi personaggi si sovrappongono, ma non si fondono mai, gli uni con gli altri. E’ proprio questo delicato equilibrio, il modo in cui ha vissuto i suoi personaggi e poi li ha fatti vivere che fa di Bruce Springsteen un narratore unico e particolare, uno storyteller alla strenua ricerca di un senso delle “cose”. Con il tempo ha imparato a usare più voci, anche se quella “popolare” del personaggio seduto al bancone del bar è quella che gli viene meglio. E’ l’aspetto più interessante della narrativa di Springsteen: dal flusso di coscienza dei primi album all’essenzialità lirica dell’ultima parte della sua storia, da Nebraska e Tom Joad, la sua scrittura non ha mai ceduto di un millimetro. Se lo stesso non si può dire per la musica (anche se non è questa la sede adatta), la scrittura è sempre stata molto precisa nei dettagli così come nel tono. La precisione è la condizione ultima a cui si deve attenere una narratore, in cui si percepisce la sua sincerità, perché poi, di correzione in correzione, “la naturalezza di un voce vera lascia il posto alla formalità di una prestazione”, ed è inevitabile che affiori la differenza, ovvero la nota falsa. Il vero problema per Springsteen e per estensione per chi l’ha seguito è sempre stato un altro ovvero, come ha detto lui stesso, che “gli scrittori e gli artisti creano micromondi e li controllano. Se riesci a farlo abbastanza bene, comincia a credere di poterci vivere tu stesso”. Poi è naturale accorgersi che “il mondo reale non funziona così”, ma almeno si può ancora credere che non sia l’unico e/o l’ultimo.

2 commenti:

  1. Ciao Marco,
    ti seguo da molto tempo su il "Buscadero"
    memorabili gli articoli su Johhny Cash e Los Lobos, e vorrei ringraziarti per tutti i preziosi consigli che ci doni musicali e letterari.
    Ho apprezzato molto sull'ultimo numero l'articolo su Woody Guthrie...Ora ho iniziato a leggere "Questa terra è la mia terra".
    Sai quando uscirà l'edizione italina di SONGS?

    Ciao e ancora grazie.
    Roberto

    P.S. ROCK 'N' ROLL è gran bel libro.

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  2. Grazie a te, Roberto. Songs era uscito nel 1999, purtroppo con una traduzione improbabile. Speriamo sempre in un aggiornamento, magari rivisto e corretto, prima o poi.

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