lunedì 25 agosto 2025

John McMillian

Al di là della somma di affinità e divergenze, contrapposizioni e complicità, l’affaire Beatles vs Stones si protrae, senza soluzione apparente, da decenni. Il tentativo di ricondurre l’evoluzione parallela e spesso contigua dei due gruppi in un unico, effervescente scenario è la componente migliore e più efficace del racconto di John McMillian, che è un professore universitario e nell’occasione sa essere scorrevole e dettagliato nello stesso tempo. L’adesione allo schema della dicotomia è scettica e con un meticoloso lavoro è andato completando un quadro riassuntivo e credibile di cosa hanno rappresentato Beatles e Rolling Stones nel palcoscenico pubblico delle strade di Londra. La prima mossa sulla scacchiera tocca ai Beatles che “iniziarono a incidere canzoni che mettevano alla prova il loro pubblico con parole, suoni, atteggiamenti e immagini che uscivano dal seminato, che lasciavano disorientati. E in questo modo, contribuirono a trasformare il pop in arte. Aprirono una strada nuova per la musica pop ed ebbero un effetto galvanizzante su tutti i loro contemporanei”. Su questo non c’è il minimo dubbio e John McMillian segue i personaggi che hanno affollato lo spazio aperto dai Beatles e allargato dagli Stones, mette a confronto due stili che hanno molte radici in comune e raccoglie anche le relative leggende, ma si assicura di tenere conto di ciò che è stato inventato o millantato. Il rapporto viene scandagliato in tutti i particolari, comprensivi dei luoghi comuni e degli stereotipi che li riguardano: la vasta bibliografia disponibile è stata la fonte principale, poi John McMillian ci ha aggiunto i suoi collegamenti e il suo punto di vista perché “in un certo senso, l’altezzosità bohémien coltivata dagli Stones era artefatta quanto l’immagine scanzonata e ottimista proiettata dai Beatles”. Di episodi e aneddoti ce ne sono un’infinità e la cernita è, se non altro, molto puntuale. Le connessioni artistiche note e meno note, i commenti sulle rispettive ambizioni, tutta un’era che andava di fretta e che ruotava proprio attorno ai Beatles e agli Stones sono riproposte con cura, compresi i ruoli di Brian Epstein e Andrew Loog Oldham, nel costruire le immagini dei gruppi, fino a spiegare con chiarezza che “gli Stones erano ammirati per il modo con cui affrontavano apertamente temi come il sesso, il desiderio, l’ansia, il consumismo, la depressione e la rispettabilità borghese, mentre i Beatles erano accusati di aver imbrigliato lo spirito bohémien. Rispettavano le convenzioni sociali”. La differenza non è mai stata così netta e bisogna dare atto a John McMillian di aver trovato un senso e un equilibrio nel comporre il dilemma concludendo che “né i Beatles né gli Stones, però, erano particolarmente radicali. Entrambe le band, con il loro immenso talento, avevano contribuito a costruire immagini della cultura giovanile che generavano grande fiducia nei propri mezzi, consapevolezza di sé e un’energia libidica, e questo aveva stimolato dei cambiamenti straordinari”. La metamorfosi dei Beatles dai teppisti rock’n’roll di Amburgo alle figure edulcorate e immacolate dei baronetti e degli Stones dai posati ragazzi della middle class alle pose selvagge degli “street fighting man” sono il pepe e il sale sparsi nella Swinging London e John McMillian riesce a rendere l’atmosfera, mantenendo un tono adeguato, non accademico o specialistico, assecondando gli sviluppi nelle relative discografie e il crepuscolo di un’era con le morti di Brian Epstein e di Brian Jones, Altamont, il disastro della Apple e lo scioglimento dei Fab Four. Qui conta l’avvento di Allen Klein, manager prima negli Stones e poi nei Beatles, un personaggio che da solo ha mutato la storia di entrambe le band e ha contribuito non poco a deviare il rapporto tra l’industria discografica e il rock’n’roll che è andato sfumandosi in una passiva accettazione di tutto ciò che passa il convento. Del resto il suo modus operandi di Allen Klein era questo: “Due parti firmano un contratto in buona fede, nella speranza che esprima quello che tutte e due vogliono da una relazione. Ma le situazioni cambiano e i contratti vengono rinegoziati”. Da accordi e note a percentuali e dividendi il passo è breve, e questa è la vera fine delle intersezioni dei Beatles vs Stones. Su quello che sono diventati in seguito gli Stones John McMillian, è piuttosto frettoloso ed evasivo, ma qualche ragione ce l’ha, in effetti, perché si tratta comunque di altri tempi e di tutta un’altra storia. Qualche svista (tra cui Keith Moon che diventa il chitarrista degli Who: certi dettagli non li insegnano all’università) è relativa nel contesto generale che ha le proprietà, ormai rare, della sintesi e con un bel finale dove ricorda che “d’altra parte, non c’è niente come la musica per fare un tuffo nel passato, per evocare la nostalgia, e questo può essere una cosa potente, meravigliosa”, e naturalmente vale per i Beatles e così per gli Stones.

lunedì 18 agosto 2025

George Saunders

La deformazione del linguaggio, e come la sua manipolazione possa determinare le libertà individuali, è ancora una volta il tema ricorrente nei racconti di Giorno di liberazione. George Saunders è sempre spiazzante, e di sicuro non è una lettura consolatoria: è uno dei pochi scrittori che hanno il coraggio, per non dire la temerarietà, di tuffarsi nel caos moderno e di uscirne trionfanti con una narrazione che è fatta di un ritmo implacabile e di una visione distopica di una realtà che somiglia molto alla nostra, ormai diventata un pessimo film dell’orrore di serie b. A partire da Giorno della liberazione, un racconto surreale che fonde molte idiosincrasie attuali con la rivisitazione della cronaca del generale Custer e di Little Big Horn. Sorprendente, fin da quando i protagonisti si accorgono che “proprio mentre siamo parte della storia, siamo in qualche modo persi nella storia, ci rendiamo conto di quanto sia fantastica”. La loro condizione di osservatori impotenti è, a ben guardare, molto simile alla nostra, quando George Saunders scrive: “Ora ci vengono forniti i fatti. Fatti veri. Che sono utili. Per costruire una struttura avvincente. È come camminare in un corridoio stretto, compressi fra due pareti grigie di fatti. Come arrancare in un deserto ed essere colti all’improvviso da una pioggerellina di conoscenza composta proprio dai dettagli che desideravi senza rendertene conto”. L’alternativa a un vocabolario forbito e ricercato è elementare: “Altrimenti parliamo così. Come vi sto parlando io adesso. In modo semplice, poco ispirato, senza alcuna bellezza”. La costruzione dei racconti è imprevedibile, come se le deviazioni repentine del linguaggio dominassero in ogni occasione con la suddivisione dei ruoli in Elliott Spencer, dove un’istituzione sovrintende a un livello articolato e superiore delle comunicazioni, anche criptiche, volendo. Le attrazioni linguistiche sono un aspetto determinante e del resto la scrittura di George Saunders fa riferimento proprio a quello: tratta ogni short story come un mondo a parte, dove può succedere di tutto e, di solito, succede. L’incessante lavorio sulle parole si sviluppa attraverso l’uso delle maiuscole, degli spazi nella pagina e della sottile perversione per i luoghi comuni che George Saunders, come succede in Festa della mamma, dove Alma e Debi, in un sovrapporsi di chiacchiere tra rivali ripercorrono una vita di diatribe e rimpianti. Le contraddizioni che implicano i rapporti tra le persone sono di nuovo al centro dell’attenzione in La mia casa, un racconto enigmatico e struggente nello stesso tempo, e L’audace mamma d’azione. In questi casi, il cambio di registro è evidente, ma non insolito: se gran parte delle short story di Giorno di liberazione sono un’esperienza linguistica penetrante con raffiche di iperboli, Lettera d’amore, è un toccante dialogo epistolare (dal nonno al nipote) sull’America all’inizio del ventunesimo secolo, che si snoda riflettendo “ancora in quell’epoca, non in questa” per poi “trovarsi, di nuovo, in un tempo e in un luogo in cui agire non è possibile”. La vita quotidiana torna protagonista in Una cosa di lavoro, con una ricostruzione assurda ed estenuate del tran tran in ufficio e in Scricciolo, dove in un negozio via via nasce una relazione e poi un matrimonio. Tra le funamboliche piroette, va ricordato anche Ghoul, che riprende una delle ossessioni predilette di George Saunders, i parchi a tema (e, a sua volta, è indirettamente collegato a Giorno della liberazione): una sorta di regime a base di ruoli, maschere, costumi e allarmi (e condanne a morte inflitte a calci), allucinante e inquietante, e permeato dalla sensazione che “sembra tutto perfetto. Ma non succederà”. E, comunque, George Saunders sembra concludere con fare sornione perché “l’intenzione è quella. Fare quello che sappiamo fare, e divertirci”. Notevole.

venerdì 8 agosto 2025

Allan Gurganus

Questa riorganizzazione delle short story di Allan Gurganus ha un senso, anche se Uno di quelli, Beata rassicurazione ed Eroismo minore erano già andati a comporre Piccoli eroi. La ristrutturazione in Respiro li recupera tutti e ci aggiunge Respiro (1975), Condoglianze a tutti noi (1975) e L’arte per adulti (1980). Falls, da qualche parte nel North Carolina resta la cornice ideale e il territorio prediletto da Allan Gurganus così come, all’interno dell’ipotetico perimetro cittadino, le osservazioni delle dinamiche famigliari nell’arco delle scansioni temporali, dall’infanzia (un periodo su cui torna spesso e volentieri) all’età matura, con proprietà stilistiche che si adattano alla perfezione alle mutazioni esistenziali e cronologiche dei personaggi, sia utilizzando la prima persona (la soluzione preferita) che altre prospettive. La rilettura di Uno di quelli o di Eroismo minore conduce giusto in quella direzione ed è proprio laggiù, come scrive in Beata rassicurazione, che “la vita affiorava sotto la pelle”. Personaggi e situazioni ricorrono a Falls come se ci fosse un continuum, e così anche in Respiro, il racconto che offre il titolo alla raccolta che è esemplare dell’approccio di Allan Gurganus. Una scrittura raffinata che sa leggere le mutevoli forme delle relazioni con estrema precisione, ma anche con particolare grazia e con un senso specifico del dettaglio che unisce i protagonisti, ne riveste l’identità e distingue tutti i principali passaggi dei racconti. Il modus operandi di Allan Gurganus è un lavorio di miniatura che, all’interno di un’attenta visione panoramica, non si lascia sfuggire nulla. Ogni elemento trova la sua collocazione nel corso del susseguirsi dei singoli momenti salienti delle storie. In Respiro è più che evidente che mai nel contesto del contrastato rapporto lungo un’intera esistenza tra i fratelli Bryan e Bradley, con le ombre dei genitori sullo sfondo. Respiro è un po’ la somma delle caratteristiche di Allan Gurganus e si presenta come un notevole biglietto da visita. Non di meno vale L’arte per adulti che ricorda come “tutti si accorgono della grazia, ma saper apprezzare la goffaggine, be’, quello richiede un vero talento”. Il laboratorio umano è sempre quello: “È una piccola città, Falls. Tutti vedono tutto, o quasi. Quindi, se la fai franca lo vieni a sapere di sicuro, e il tuo è un successo decisamente più prezioso. C’è chi dice che in fondo il peccato è vecchio come il mondo. Ma non per me. Se non è scandaloso, allora non vale la pena perderci troppo tempo”. Un incontro che si sviluppa per gradi, con Allan Gurganus che lascia in sospeso la conclusione, tenendo aperte tutte le possibilità, sapendo che “ogni autentico piacere è un segreto”. Arrivati a quel punto, aveva comunque disseminato indizi in abbondanza per illustrare L’arte per adulti, titolo quanto mai appropriato. La vera eccezione è Condoglianze a tutti noi che sposta in modo significativo, ed estremo, i soggetti e l’ambientazione voluti da Allan Gurganus. Un salto radicale: Condoglianze a tutti noi segue le vicissitudini di una comitiva di turisti americani in Africa, prima in Egitto, poi in un non identificato paese dove è in corso una violenta sommossa. Siamo molto lontani dall’emblematico tran tran di Falls, con i piccoli traguardi o i fallimenti di una comunità. Lo scenario africano è imprevedibile: le persone diventano una massa incontrollabile, i turisti trovano rifugio in un albergo, ma due di loro, marito e moglie si attardano per strada per fotografare i manifestanti e restano uccisi mentre i compagni di viaggio osservano, inermi e impotenti, dalle finestre delle loro camere. Anche l’attenzione di Allan Gurganus segue un’altra definizione, prima assecondando lo sguardo delle vittime, e poi da quello degli altri viaggiatori, attoniti e increduli. Come se fosse una videocamera impazzita, e invece è una lettera scritta con il cuore in mano.

lunedì 4 agosto 2025

Stephen King

Leggere Stephen King ormai è un po’ come trovarsi in casa a occhi chiusi: sappiamo dove ci siamo, ma nel buio non mancano le sorprese. In Never Flinch funziona proprio così: c’è la solita, meticolosa costruzione con i personaggi immersi nel loro milieu e qui si comincia già con vecchie conoscenze, a partire da Holly Gibney, che ritroviamo con l’intero bagaglio di idiosincrasie, problemi di autostima e grandi intuizioni, ed è facile immaginare che la rivedremo ancora in un futuro non lontano. È accompagnata da una galleria impressionante di personaggi che arrivano al centro dell’attenzione uno dopo l’altro, a partire da un misterioso serial killer che colpisce a caso ed è particolarmente deviato, visto che secondo Holly, “è pericoloso, perché è convinto di essere sano di mente”. Questo vale per tutti i protagonisti di Never Flinch che, in un modo o nell’altro, hanno un coro di voci che parlano nella testa. Anche Kate McKay, scrittrice combattiva e paladina dei diritti delle donne, e la sua assistente, sentono la necessità di stare in prima linea, nonostante i rischi e le minacce che le condurranno a richiedere l’aiuto di Holly, nell’inedita veste di guardia del corpo. Siamo solo all’inizio e Stephen King si concede tutto quello che si può concedere (e ci mancherebbe altro), ovvero molto mestiere nel destreggiarsi tra i temi ricorrenti (il doppio, soprattutto) e i numerosi cliché (i nomi troncati, per esempio, o le degustazioni nei pasti comandati) che sono quello che sono eppure, o forse proprio per quello, hanno un loro modo di incantare ancora una volta il lettore. Tutte le storie convergono verso il concerto di Sista Bessie, una cantante che a sua volta avrà un ruolo non indifferente, e Stephen King si limita a seguire i movimenti dei personaggi che sono guidati da motivazioni incrollabili, ma ambigue. Sono tutti fuori posto come se le loro missioni o i loro destini fossero annodati da fili invisibili, ed è vero, “come dicono in tv: è complicato” da spiegare. Non di meno precipitano uno verso l’altro a gran velocità e nel bel mezzo di Never Flinch, Stephen King si concede anche il lusso di rivelare chi è l’assassino che uccide gli innocenti “per procura”. Un tocco narrativo che, al primo impatto, pare insolito, se non affrettato, ma che poi, vista la grande corsa verso il finale, è una specie di rampa di lancio. Holly è coinvolta per vie trasversali, ma alla resa dei conti (arriva tardi, ma ci arriva) si ritrova con Barbara e Jerome, quasi un affare di famiglia. Del resto Never Flinch è un romanzo piuttosto affollato e per niente lineare, con uno sviluppo che non concede tregua e in questo bisogna dare atto a Stephen King di non aver mai perso l’abilità di tenere incollato il lettore alle pagine, se non altro per vedere come va a finire. E, a proposito di luoghi comuni, il consueto e caotico epilogo parte da un campo da baseball e non potrebbe esserci cornice migliore. Alle sue coordinate, nel definire l’ambiente, il mood e in generale le dinamiche di Never Flinch si aggiungono le citazioni di Stephen King, da Psycho agli inevitabili richiami di The Outsider fino alla fittissima playlist composta da Al Green, Blind Boys of Alabama, Mavis Staples (la principale fonte d’ispirazione per Sista Bessie), A Change Is Gonna Come di Sam Cooke, Wilson Pickett, Jackie Wilson, Marvin Gaye con I Heard It Through The Gravepine, Boogie Shoes della KC & The Sunshine Band, e l’immancabile Ray Charles e così, anche rispetto alla “sweet soul music”, Stephen King non sbaglia indirizzo.