Nell’apologia dell’individuo, che lo distingue dalle mutazioni della società che impone schemi e modelli, ma non comprende la necessità delle contraddizioni (“Essere grandi è essere fraintesi”), secondo Ralph Waldo Emerson la natura è un riferimento e un riflesso spontaneo e contiguo alla personalità. Un pensiero costante alla composizione del singolo (“Noi passiamo per quello che siamo”), dalla formazione del carattere (“Ogni vero uomo è una causa, un paese, un’età”) alla creazione dell’identità come unità di misura nei confronti della vita e del mondo.“Noi dobbiamo muoverci da soli” diceva Emerson ponendo l’anticonformismo come scelta ed esigenza per tutelare l’individuo nella sua essenza perché “la società non progredisce mai”. È un’affermazione da cui discendono poi tutte le necessità da affrontare ogni giorno: le istituzioni, la religione, i governi, le strutture del linguaggio. Emerson ha un ricco eloquio, molto semplice nella forma, che corrisponde alla particolare esigenza del suo ideale di uomo e/o persona. Mette in dubbio anche l’esigenza dei viaggi (pur avendo molto viaggiato), così come i luoghi comuni dell’istruzione o del lavoro. “Non imitare gli altri” è una delle invocazioni più sentite, rivolta in particolare agli americani, allo spirito e all’idea, nel definire e promuovere la “self reliance”, la fiducia in se stessi. L’ostacolo più grande è lì davanti: “Ovunque la società è in perenne conflitto contro la maturità spirituale dei suoi membri. Essa non è altro che una società per azioni, nella quale ciascuno membro acconsente, per meglio assicurare il pane a ogni azionista, a rinunciare alla libertà e alla cultura del singolo consumatore di tale pane. La virtù che più si ricerca è il conformismo, di cui la fiducia in se stessi è l’opposto: esso non ama vere realtà e autentici creatori, ma soltanto nomi e consuetudini”. Emerson insiste su questo punto, dichiarando apertamente: “Le nostre arti, le nostre occupazioni, i nostri matrimoni, la nostra religione, non li abbiamo scelti noi, ma è stata la società a sceglierli per noi. Siamo soldati da salotto, che schivano la dura battaglia del fato, dove nasce la forza”. La collocazione dell’individualità all’interno del sistema delle cose e della natura nel linguaggio poetico prende forma in una visione filosofica, un modello che prevede essenzialmente “credere nel proprio pensiero, credere che ciò che è vero per te nell’intimo del tuo animo è vero per tutti gli uomini: questo è il genio”. Da lì l’assunto, a suo modo conclusivo: “È facile osservare che una maggior fiducia in se stessi opera necessariamente una rivoluzione tra gli uomini e in tutte le loro istituzioni”. La natura, di nuovo, è il termine di paragone, in qualche modo il confine, il metro con cui misurarsi ed estraniarsi ed Emerson lascia emergere i valori essenziali: “L’uomo, invece, non fa che posporre, o ricordare: non vive nel presente, ma con l’occhio rivolto all’indietro rimpiange il passato, oppure, incurante delle ricchezze che lo circondano, si alza in punta dei piedi prevedere il futuro. Non potrà mai essere felice e forte finché non vivrà anche lui nel presente, insieme con la natura, al di sopra del tempo”. Emerson riesce a leggere a fondo queste dinamiche e sa che alla fine, “ogni uomo è felice e sollevato quando ha messo il cuore nel suo lavoro e ha cercato di fare del suo meglio; ma ciò che ha detto o fatto altrimenti non gli darà pace. È una liberazione che non libera affatto. Al momento dell’impresa il suo genio lo abbandona, nessuna musa lo conforta, nessuna invenzione, nessuna speranza”. C’è tutto e c’è anche la garanzia di una validità atemporale quando dice: “Ma ciò che un uomo è, è sempre, di necessità, qualcosa di acquisito; e ciò che l’uomo acquisisce è proprietà viva, che non attende cenni di governanti, folle, rivoluzioni, fuoco, tempesta o bancarotte, ma perpetuamente si rinnova ogni volta che l’uomo respira”. Parafrasando Oliver Wendell Holmes, qui c’è “la nostra dichiarazione di indipendenza intellettuale”. Sottoscriviamo, con convinzione.
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