venerdì 10 gennaio 2020

Richard Yates

Partenze, addii, litigi, “nervi lacerati e ferite aperte” e alcol come se piovesse: la dolente umanità di Richard Yates si presenta nei racconti di Bugiardi e innamorati in tutto il suo splendore. I personaggi, che hanno sempre nome e cognome, sono dispiegati come pedine sulla scacchiera della vita, impegnati in rischiose mosse tra le emozioni, il più delle volte destinate a rovinose sconfitte. Ed è come ritrovare vecchie conoscenze, con pessime abitudini che non cambiano mai. La madre appassionata di scultura di Saluti a casa è la stessa di Oh, Giuseppe, sono tanto stanca e la si ritroverà poi in Una buona scuola, dove appare anche il padre, cantante mancato e rappresentante della General Electric, ancora in O Giuseppe sono così stanca. È come se Richard Yates scrivesse la stessa storia declinata in modi diversi, ma comunque delineata dall’idea di “farsi carico” o, al contrario, di “mandare tutto a puttane” che, il più delle volte, è proprio quello che succede. La frequenza martellante con cui si susseguono scontri e separazioni non lascia scampo. In Una ragazza naturale, i protagonisti, David Clarke e Susan Andrews, si dicono di provare “soltanto di andarci piano l’uno con l’altra”, ma poi l’inevitabile accade, senza una logica apparente, perché “non si smette di amare per un motivo, così come non si ama per un motivo”. Nel complesso di Bugiardi e innamorati questo è forse l’unico principio che regge fino alla fine, ma intanto va ricordato un riflesso autobiografico in Una ragazza naturale, visto che David Clarke diventa il ghostwriter del politico di turno, così proprio come Richard Yates lavorava per Robert Kennedy. Qui però siamo nel decennio precedente, negli anni in prossimità alla fine della seconda guerra mondiale, lungo un triangolo atlantico che comprende New York, Londra e Parigi con l’eccezione (notevole) dello scenario hollywoodiano di Addio a Sally, dove ci si accorge che “il mondo era ancora intatto, e cosa fosse a farlo girare lo sapevano tutti”. Lo sanno Elizabeth Hogan Baker e Lucy Towers, le donne, sole e intraprendenti, di Partecipare alla corsa, che provano a sommare le proprie forze per districarsi nelle fatiche della vita quotidiana, con figli a carico, conti da pagare e uomini ovvero (ex) mariti evanescenti. Lo sa molto bene Warren Mathews che a Londra intreccia un legame con Christine Phillips, nel racconto da cui prende il titolo la raccolta. Lui ha una borsa di studio, lei è una prostituta e la relazione è talmente rocambolesca che arrivano a chiedersi: “Non sarebbe meglio se cercassimo di dirci la verità?”, ed è una domanda che aleggia costante e pericolosa nell’aria come un temporale. L’incapacità di mantenere un legame, le energie dissipate nel tentativo di provarci, l’alcol, onnipresente (in quantità smodate) nei drink attorno a cui ruota tutta la vita (sociale) dei personaggi definiscono il leitmotiv delle storie di Bugiardi e innamorati, anche in Motivi di famiglia che, in parte recupera l’ambientazione bellica di Sotto una buona stella. Siamo però nella “fiesta” di Parigi, e così Richard Yates trova il modo di evocare il primo dei due dei fantasmi che gravano sulla sua scrittura. È Hemingway, naturalmente, e per trovare l’altro bisogna seguire Jack Fields a Hollywood dove rincorre le gesta di Francis Scott Fitzgerald, un nome fondamentale per Richard Yates (così come per tutti). La trasferta californiana in Addio a Sally è un tuffo su un palcoscenico molto diverso dagli altri scenari di Bugiardi e innamorati: più lussuoso, più appariscente e più folle. Basterebbe l’intercalare di Sally, l’amante di Jack Fields, per cui tutto è “magnifico”, a rendere l’idea del tenore di vita che sostengono, tanto scintillante quanto fragile. La rottura arriva, puntuale, e tocca proprio a Jack Fields quando comincia “a preoccuparsi per se stesso: forse era incapace di trovare luce e spazio nel mondo; forse la sua natura avrebbe sempre cercato il buio e la reclusione e la decadenza”. Tra dozzine di bugie, sbornie e alterchi, finalmente un’ammissione onesta e perfetta, che avrebbe strappato un sorriso a Hemingway e Fitzgerald.

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