Nel 1958, due anni prima che Il termine della notte vedesse la luce, Charlie Starkweather e Carol Fugate partirono per un viaggio sanguinario che ha ispirato una lunga serie di ricostruzioni, non ultima quella di Bruce Springsteen in Nebraska. L’ombra di quell’odissea resta nel background del romanzo di John D. MacDonald che ribalta gli schemi popolando la vita on the road di un branco di lupi che vanno a scovare piccole e amene località per colpire e nascondersi e che al loro passaggio lasciando grondare una scia di orrori. Nanette Koslov, Robert Hernandez, Sander Golden si incontrano per caso e trovano in Kirby Palmer Stassen la variabile impazzita che fa da detonatore alla follia. Nella sua storia oltre all’omicidio-suicidio dell’amante e del marito, Kathy e John Pinelli, c’è una deviazione geografica (e narrativa) importante, che porta verso il Messico, una svolta verso uno dei luoghi d’elezione della Beat Generation. Imbottiti di alcol e dexedrina, i quattro sono quanto di peggio possa capitare in una notte sulla strada, visto che appartengono “alla preistoria, a una violenza fatta di insensibilità, esseri che vagavano per la terra cruda, accoppiandosi con furia casuale, dilaniandosi, accendendo un fuoco dentro qualche caverna e cuocendo la carne insanguinata dell’ultima preda”. Tra le efferate tappe, l’episodio più importante è quello dell’assassinio del commesso viaggiatore non solo perché è il primo di una catena di uccisioni, ma perché riporta, per le modalità, alla morte di Joan Vollmer la “moglie” di William Burroughs in Messico da lui uccisa in circostanze analoghe. Qualcosa in più di una coincidenza con gli strani giorni dei “beatnik”: il substrato nichilista e pericoloso di certe idee viene presentato così, raccontando quando Nan frequentava “il curioso mondo artistoide e sotterraneo di San Francisco, specializzato in jazz incomprensibile, quadri privi di senso e poesia isterica, con gli inevitabili sottoprodotti di misticismo, chiacchiere da caffè, tossicodipendenza, violenza e autocommiserazione”. Le stesse deliranti farneticazioni di Sander Golden, che servono a giustificare l’assurdità del viaggio, non impediscono di rilevare l’ineluttabile destino di tutti i protagonisti: “I criminali erano sempre gli stessi, viziosi, stupidi, subumani. Le vittime erano uniformemente isteriche o morte senza più speranza. E i giornalisti erano noiosi e ripetitivi. La violenza aveva così poco significato. Era una parte decadente nel grande e morbido corpo della società, un accumulo di pressione, e poi un rutto gassoso”. È proprio quello che succede quando giungono a intravedere Il termine della notte, e dunque il capolinea della loro assurda corsa nel vuoto. Le istituzioni non sono esenti da una congrua dose di ipocrisia, impersonata dagli sceriffi e dagli agenti dell’FBI e ancora di più dalla goffaggine dell’avvocato Ricker Deems Owen e della sua segretaria e nelle curve che Il termine della notte impone “tutti noi, ognuno di noi, camminiamo molto vicini alle ombre, a strani luoghi oscuri, ogni giorno della nostra vita. Nessun uomo si trova in un posto completamente sicuro. Quindi è un segno di pericolosa spavalderia affermare di essere immuni. Nessuno può dire quando un evento casuale, una pura coincidenza, possono incidere su una persona quel tanto che basta per far sì che non si trovi più in un posto sicuro, e cominci a camminare nell’ombra, verso cose sconosciute che sono sempre state lì, in attesa di divorarlo”. La cruda attenzione di John D. MacDonald alla psicologia dei personaggi non ha un attimo di cedimento e la tensione è a tratti impraticabile, pur sapendo fin dalle primissime pagine cosa è successo e quale sarà la conclusione (in effetti, l’inizio è la fine) e l’applicazione senza rimorsi, senza rimpianti della pena di morte (una sorte che toccherà anche Charlie Starkweather) ci ricorda, anche sul versante della legge e della giustizia che “non abbiamo mai smesso di essere animali”. Con una qualità che è rimasta inalterata nel tempo, Il termine della notte è un libro coinvolgente e spiazzante, punteggiato da numerosi omaggi letterari, nascosti ed espliciti, non ultimo e non trascurabile, va ricordato al almeno quello a Theodore Sturgeon.
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