martedì 8 luglio 2014

Stuart Nadler

Il quadro generale dei rapporti umani che emerge Nel libro della vita non è molto edificante. Le coordinate che saldano un racconto all’altro sono quelle quelle di una borghesia sull’orlo del fallimento, che ricorda molto la decadenza del citatissimo Francis Scott Fitzgerald e la rappresentazione di Stuart Nadler è impietosa, per quanto mitigata da un’ironia sottile e pungente. Un umorismo che ricorda il miglior Woody Allen, più di quello dei narratori ebrei a cui attinge Stuart Nadler (Saul Bellow su tutti), compreso il protagonista di Il nostro destino, la nostra roccia quando dice che essere ebrei, “non è una taglia unica che va bene per tutti”. La cifra è chiarissima fin dal primo racconto della raccolta. Nel libro della vita è una spirale di sotterfugi e di ricatti perché un adulterio ne rivela un altro in un gioco a incastri cinico nella sostanza eppure formale nell’apparenza. L’arte del mimetismo psicologico attraversa tutti i racconti, serve per il tradimento o per (salvare) il matrimonio, lo usano i figli per sopportare i genitori e gli adulti, uomini e donne, quando ricordano di averne appreso i rudimenti nelle rispettive infanzie. E’, più di tutto, una forma di autodifesa dalla vita, dall’alcol, dalla noia, dalle abitudini coltivate troppo a lungo, dalle comunicazioni interrotte o lasciate in sospeso. Come la protagonista di Lo sbarco sulla luna, un racconto bellissimo, che chiede: “Vuoi che ti dica che ti amo? Ti farebbe sentire meglio?”, ed è inutile dire che non c’è seguito perché “quelle parole piacciono a tutti” e sono in pochi a pronunciarle tra l’intrigo di Catherine e Henry e la dolorosa visione di La visita. E’ il vuoto tra una metà e l’altra perché i personaggi sono tutti associati in coppie, un sistema binario fatto di parallele divergenti, in tutte le versioni: marito e moglie, amante e amante, padre e figlio, fratello e fratello, amica e amica. Legami destinati a implodere fino a Oltre ogni benedizione che già lambisce una forma che va oltre il racconto. Fin lì, Stuart Nadler riesce a mantenersi lineare quanto basta, mostrando tormenti e fatiche delle storie d’amore e/o delle relative visissitudini famigliari. L’ossessione ricorrente per l’ambito domestico, l’altro tratto costante e comune a tutti i racconti di Nel libro della vita, è sentito attraverso diverse tonalità perché sembra di capire che all’interno della famiglia certe maschere psicologiche non reggono e anzi tendono a rivelarsi come riflessi, fin troppo sinceri. Stuart Nadler insegue con convinzione “una debole traccia di lealtà”, facendo lo slalom tra “una serie di silenzi punteggiati da preghiere, canzoni e risate”. Mantiene quel tanto di distacco da vedere con chiarezza le metamorfosi dei suoi personaggi e abbastanza partecipazione da risultare coinvolgente, almeno per quanto riguarda i primi racconti della raccolta. Più ci si inoltra Nel libro della vita e più è chiaro che con queste premesse la dimensione della short story gli risulta limitata, come poi si è visto  nell’evoluzione di La fortuna dei Wise, il primo (notevole) romanzo di Stuart Nadler. 

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