Nel bel mezzo di Murder Incorporated, Bruce Springsteen cantava: “Ora ti guardi le spalle ovunque tu vada, camminando giù per la strada, ci sono occhi in ogni ombra”. È l’inizio e la fine e, dato che Città in fiamme è il primo capitolo di un’annunciata trilogia, anche il futuro prossimo venturo di Danny Ryan, un affiliato di una gang irlandese nel Rhode Island. Siamo nell’estate del 1986 e, nella realtà, sulla costa atlantica imperversano guerre intestine, anche tra le cosche italiane, e infiltrazioni mafiose nelle principali istituzioni, FBI compreso, cronache nerissime da cui Don Winslow attinge a piene mani per raccontare le Città in fiamme. La storia di Danny Ryan è emblematica, essendo un outsider anche nella propria famiglia: suo padre è una leggenda in disarmo, e ha sposato la figlia del capo che gli concede l’usuale tran tran (racket, estorsione, usura, contrabbando), ma non lo ammette al tavolo dove vengono prese le decisioni che contano. Succede così, che quando nel corso di un party in cui sono presenti tutti, irlandesi e italiani, appare una femme fatale che scompagina la fragile convivenza, si scatena una faida sanguinosa. Comincia con un battibecco tra un barbecue e l’altro e si ingrossa fino a diventare uno scontro per il controllo del territorio (e degli affari) di proporzioni epiche e dagli esiti imprevedibili. Il meccanismo avviato da Don Winslow è potente ed efficace: il cliché del tradimento come ultima spiaggia è fonte di una reazione a catena incontrollabile e il parallelo tra i piccoli e grandi drammi delle vite famigliari e l’essenza schizofrenica dell’esistenza dei delinquenti, è ben congegnato. Lo schema, per quanto intricato, funziona con la precisione di un coltello a serramanico, non lascia molto all’immaginazione e la lettura è avvincente, anche se ben presto traspare un ritmo piuttosto meccanico. Forse Don Winslow insegue la forma sincopata e brutale di James Ellroy (che abita su un altro pianeta) e, senza dubbio, struttura un gran labirinto di personalità, inquadrando alla perfezione la mentalità criminale, che ragiona soltanto in termini di opportunità e decide per istinto (comunque), ma a Città in fiamme così come già ai racconti di Broken manca quella tensione ideale che alimentava Il potere del cane e tutta la trilogia del cartello o, per restare sulla East Coast, è molto lontano anche dalla densità di Corruzione. Detto questo, i personaggi sono caratterizzati da una vena singolare, in particolare quelli femminili (soprattutto la madre di Danny): hanno storie complesse alle spalle, come succede a Pam, la ragazza all’origine dello scontro tra irlandesi e italiani che poi coinvolge un po’ tutti, e hanno un peso determinante nel racconto, anche solo nel far risaltare il lato maschile, ossessionato dal proprio ruolo. Don Winslow conosce a fondo il codice d’onore mafioso e in Città in fiamme lo mette a dura prova, offrendo occasioni un po’ a tutti i protagonisti per incrinarne le fondamenta: dall’adulterio all’omosessualità, dalle risse tra adepti della stessa famiglia al crollo dell’omertà. Nella Città in fiamme succede tutto e il conflitto che si scatena tra le bande è rappresentato a colpi di immagini forti ed è fatto di soluzioni del tutto provvisorie, come ricorda lo stesso Danny Ryan: “Prendi precauzioni ragionevoli, controlli spesso il retrovisore, tieni la pistola a portata di mano e ti guardi sempre intorno. Dopodiché vivi la tua vita”. Funziona così, e non c’è molto di più.
Nessun commento:
Posta un commento