Daniel
Mark Epstein chiama i versi di Hart Crane “assalti alla logica”
ed è una definizione ben allineata a quella di Waldo Frank che a sua
volta li inquadrava in “una superba espressione del caos”. Non
c'è alcun dubbio che la poesia di Hart Crane sia un Giardino
astratto, popolato da immagini e associazioni forti ed
eccentriche che mettono in rilievo le parole, le levigano e le
lasciano libere di mutare “cavalcando spontaneità che formano le
loro orbite indipendenti”, come dice un verso in Le mele della
domenica mattina. Le forme sono sempre ingombranti (Harold Bloom
parla di “complessità”, e per dirlo lui), ma l’insistenza del
ritmo è feroce, non lascia scampo, è tambureggiante, ed è piena di
svolte, come avviene in Chaplinesque. Se
all'inizio, “noi docilmente ci adattiamo, contenti di quelle
fortuite consolazioni che il vento depone in tasche sfondate e troppo
grandi”, poi il poeta e la sua poesia ci conducono a un livello
superiore dove “il gioco impone compiacenti sorrisi; ma noi abbiamo
visto la luna in vicoli solitari fare di un bidone vuoto dei rifiuti
un fulgido graal di risate, e fra tutti i suoni della gaiezza e della
ricerca, abbiamo sentito un gattino nella desolazione”. Se si segue
con attenzione la cadenza, è facile intuire la stessa avvolgente
natura del jazz che Hart Crane riassumeva nella meravigliosa
percezione degli “ipnotismi di ottone”, poi particolareggiati in
“mille piccoli sobbalzi ci bilanciano in mezzo a minacciosi
soprassalti di melodia, ombre bianche scivolano sul pavimento,
disseminate come carte aperte da una mano fiacca; ritmiche ellissi ci
portano al galoppo in un qualche luogo con un gallo insolente”. Le
destinazioni finali restano sempre un'incognita e un discorso a parte
meritano i Viaggi compresi alla fine di White Buildings.
Sono uno dei momenti più alti ed evoluti della poesia di Hart
Crane, che qui si intreccia inevitabilmente con la sua umanità, come
ricorda Harold Bloom: “I Viaggi sono poesie di intenso
appagamento erotico ambientate nel Mar dei Caraibi, dove Hart Crane
aveva trascorso le estati insieme alla nonna, sull’isola dei Pini,
sin da quando aveva quindici anni. Proprio in queste acque il poeta,
ormai trentaduenne, di ritorno a a New York dopo essersi mantenuto
per lungo tempo a Città del Messico con la borsa di studio
Guggenheim, cadde in depressione e si annegò”. Per questo i versi
del secondo movimento, quando Hart Crane dice che “il sonno, la
morte, il desiderio, sono racchiusi all’istante in un fiore che
galleggia”, sempre secondo Harold Bloom hanno “l’autorevolezza
di una profezia”. Questa proiezione, la visione dentro e oltre il
tempo, è una proprietà che appartiene a tutta la poesia di Hart
Crane e se serve un punto di riferimento, tra tutte le liriche di
White Buildings, forse lo si
può scovare in Leggenda: “Silenziose come si crede
uno specchio, le realtà affondano nel silenzio vicino. Non sono
pronto al pentimento; né a misurare rimpianti. Perché la falena non
piega nulla più che la fiamma, ancora implorante. E tremuli, fra i
bianchi fiocchi cadenti, sono i baci, l’unica verità che vale
tutto. Questo va appreso, questo scindere e questo bruciare, ma solo
quelli che ancora si consumano”. Follia e ragione possono aspettare
in un angolo, il tempo, almeno qui, è dettato dal mistero della musica e della poesia.
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