Al
di là dei racconti selezionati con La
schiena di Parker (e
tra gli altri alcuni classici come Un
brav’uomo è difficile da trovare, Il
fiume, La
vita che salvi può essere la tua o Non
si può essere più poveri che da morti),
questa selezione ha il pregio di annoverare alcuni frammenti di
notevole valore tratti da Il
territorio del diavolo e
soprattutto una piccola campionatura delle lettere di Flannery
O’Connor che rivelano un rigore nella formazione delle riflessioni
poi espresse con un tono tagliente. La predisposizione a separare (a
incidere) nettamente a dividere gli aspetti più superficiali della
scrittura (dell’arte in generale) sono evidenti in Natura
e scopo della narrativa dove
Flannery O’Connor si dimostra una grande teorica e trova sempre il
modo di puntualizzare la sua visione senza paura di prendere
posizione, per esempio sparando ad alzo zero sulla didattica perché “vogliamo l’abilità ma, da sola, è mortale. Necessaria
è la visione che l’accompagna e non la otterrete da un corso di
scrittura”. Il territorio della narrativa è sempre “qualcosa da
desiderare”, e questo vale anche per tutti: “C’è qualcosa in
noi, sia come narratori che come ascoltatori, che richiede l’atto
di redenzione, al fine di offrire a chi cade la possibilità di
risorgere. Il lettore di oggi, anche giustamente, cerca questo
processo, ma ne ha dimenticato il prezzo. Il suo senso del male è
diluito o manca completamente, e così ha dimenticato il prezzo del
riscatto. Quando legge un romanzo vuole il tormento dei sensi o
l’elevazione dello spirito. Vuole essere trasportato all’istante
in una finta dannazione o in una finta innocenza”. Nessuno sconto
né ai principianti, né all’accademia: “Ovunque vada mi chiedono
se, secondo me, le università soffocano gli scrittori. Il mio parere
è che non ne soffocano abbastanza. Con un buon insegnante più di un
best-seller si sarebbe potuto prevenire”. La distanza è ancora più
evidente nelle lettere dove Flannery O'Connor mostra una verve
impagabile. Essendo già autocritica a sufficienza, di fronte a
un'analisi tutta imperniata sugli aspetti gotici della sua scrittura
risponde:“Mi
fa sorridere vedere le mie storie descritte come storie dell’orrore
perché il recensore ha sempre un senso dell’orrore sbagliato”.
Più in là, in un'altra corrispondenza sembra, rincarando la dose in
modo ruspante e senza inibizioni: “Il senso morale è stato
geneticamente estirpato da certe categorie di popolazione così come
geneticamente sono state fatte nascere galline senza ali per
ricavarne più carne. La nostra è una generazione di galline senza
ali che suppongono sia stato quello che Nietzsche intendeva dire
quando disse che Dio era morto”. Non le sfugge nulla: nel campo
della fede (cattolica), un tema su cui non teme di spendersi con
generosità riesce a inventarsi un'acrobazia linguistica al limite
del paradosso (se non oltre) quando dice: “Trovo ragionevole
credere, sebbene queste credenze siano al di là della ragione”.
Quella di Flannery O'Connor è una voce inconfondibile e la sua
unicità è tale che, fatte salve le diverse prospettive, non si
intravedono differenze tra il tono dei racconti, dei saggi o delle
lettere, a conferma dell'idea che “la
narrativa riguarda tutto ciò che è umano e noi siamo polvere,
dunque se disdegnate d’impolverarvi non dovreste tentar di scrivere
narrativa”, e così sia.
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