Le
Storie del West rappresentano una fetta di di “una civiltà
che nel diciassettesimo secolo sarebbe stata chiamata eroica, e già
nel diciannovesimo era diventata semplicemente spericolata”.
La definizione è caratteristica dello stile irriverente di Bret
Harte che conosce a fondo ed è molto abile nel destreggiarsi nella
terra di nessuno tra la leggenda e la realtà. Nelle Storie del
West non manca di evidenziare storture o deviazioni o persino
luoghi comuni come i duellanti pronti a “spararsi a vista”, ma
tocca e collega tra loro molti elementi conflittuali: lo sfruttamento
del territorio (e degli esseri umani), la dissoluzione di intere
fortune nell’oppio, nel gioco d’azzardo, nella prostituzione, e
infine il rapporto incompiuto con la wilderness e con
l’imprevedibilità degli elementi (le alluvioni, le eruzioni, i
terremoti) che sottolineano i passaggi e le svolte più importanti
dei racconti. Non di meno, le Storie del West partono e si
concludono attorno ai personaggi e ai loro nomi. La strana anagrafe,
dovuta al fatto che “il vero nome di un uomo, a quei tempi, si
basava solamente sulla propria dichiarazione non confermata”,
fornisce già una catena di suggestioni che definisce La fortuna
di Roaring Camp. In un’enclave nell’impervio West, con una
popolazione tutta maschile, non educatissima, l’unica donna muore
partorendo un bimbo che diventa così l’oggetto di attenzioni goffe
e generose. Il racconto procede spedito, Bret Harte ha il senso
dell’ironia, data la situazione, ma mantiene la barra in perfetto
equilibrio in una cornice originale e complessa che ha per
protagonisti proprio quegli “uomini si erano improvvisamente
risvegliati alla bellezza e all’importanza di queste piccole cose,
che avevano così a lungo calpestato senza cura. Una scaglia di mica
luccicante, un frammento di quarzo screziato, un ciottolo brillante
presi dal letto del ruscello, e quindi ripuliti e tonificati, si
dimostravano ora belli ai loro occhi e venivano così invariabilmente
messi da parte”. Il carattere circoscritto di Roaring Camp (con un
finale tutto da scoprire) così come, più avanti, della cittadina di
Sandy Bar svela quel senso di ambiguità che attraversa le frontiere
del West perché “in certe comunità, le azioni buone e cattive
sono contagiose”. Ecco allora apparire ai viandanti, dentro gli
ostacoli insuperabili dell’oscurità e della pioggia battente, la
figura di Miggles, che vive con gli orsi, ma la cui nobile
ospitalità riscatta un passato turbolento. Contrasti ancora più
evidenti in L’Iliade di Sandy Bar, una faida epocale, in
parte ispirata alla vera diatriba tra con Mark Twain, che di Bret
Harte diceva: “E’ un bugiardo, ladro, truffatore, snob,
ubriacone, scroccone, bugiardo”. I racconti hanno una loro
leggerezza e L’Iliade di Sandy Bar è rappresentativa perché
Bret Harte non lesina particolari nella contesa tra le figure di York
e Scott. Come dice il colonnello Starbottle era “una faccenda che
dei gentiluomini avrebbero potuto risolvere in dieci minuti davanti a
un bicchiere, se volevano parlare d’affari; o in dieci secondi con
un revolver, se volevano divertirsi”. Le Storie del West
sono fatte proprio così, compresa La leggenda del monte del
Diablo, che incrocia missioni spirituali e i incontri
mefistofelici o i Giorni di bohéme a San Francisco, dove la
corsa all’oro e la trasformazione di una città vengono raccontate
con un formato “conciso e stringato, e al contempo evocativo”, ma
anche “deliziosamente stravagante o un miracolo di semplicità”
proprio come Bret Harte ha voluto queste Storie del West.
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