Mentore
di un’infinità di poeti e narratori (non ultimi Allen Ginsberg,
Jack Kerouac e compagnia beat & bella), William Carlos
Williams è uno dei più profondi conoscitori del multiforme
paesaggio storico e linguistico americano. Ne sono testimonianza il
complesso percorso raccontato con Nelle
vene dell’America e,
in modo diverso ma altrettanto attraente, Il
grande romanzo americano.
Diciamo la verità: del romanzo, in senso stretto, ha poco o forse
niente perché è uno straordinario assemblaggio di strumenti
narrativi, saggistici e poetici. Difficile da sviscerare perché,
come direbbe Walt Whitman, contiene moltitudini, e quindi molte
contraddizioni. Vale a dire, l’America intera rivista come entità
culturale e linguistica in tutta la sua complessità: William Carlos
Williams cerca di comprendere perché “tutte le qualità che
rendono la vita interessante, gioia, dolore, avventure, ambizione,
esperienza, a
turno sembrano accentrarsi in questo luogo, irradiandosi da tutti gli
angoli del mondo”. Lo fa agendo soprattutto sullo scorrere della
narrazione del grande
romanzo americano,
senza prospettare particolari teorie, ma con quella sagacia,
quell’entusiasmo e quella lucidità che hanno sempre distinto la
sua scrittura. Essendo che “la letteratura è questione di parole”,
William Carlos Williams inventa un romanzo che non è un romanzo,
piuttosto un nuevo
mundo,
come dicono i suoi marinai dove la scrittura è libera di scegliere o
non scegliere da che parte stare, assimilando e rigurgitando, senza
schemi e con traiettorie irrisolte. E’ un tuffo pieno di incognite
e di salti mortali perché “c’è il fuoco. Precipitati dentro.
Che cos’è la letteratura a ogni modo se non la sofferenza
registrata in mille sillabe palpitanti”. Finché William Carlos
Williams quasi a convincere lui e noi che il suo è proprio Il
grande romanzo americano arriva
ad appropriarsi di una nuova definizione di romanzesco: “credere
ciò che è incredibile. Questa è la fede: desiderare quel che non
si potrà mai ottenere, volare come una rondine nel vento, in
apparenza solo per il piacere di volare”. La progressione
esponenziale: Il
grande romanzo americano si
nutre di parole e apre una finestra dopo l’altra su un mare che non
è un mare, con un ultimo, dichiarato atto di fede: “L’immaginazione
non verrà meno. Se non è una danza, una canzone, diventa un urlo,
una protesta. Se non è spettacolare diventa deformità; se non è
arte diventa delitto. Uomini e donne non possono accontentarsi dei
semplici fatti di una vita monotona non più di quanto se ne
accontentino i bambini, l’immaginazione deve adornare ed esagerare
la vita, deve darle splendore e stravaganza, bellezza e profondità
infinita. E la semplice accettazione di queste cose dall’esterno
non è sufficiente, non è sufficiente dichiararsi d’accordo e
confermare quando l’immaginazione esige l’energia creativa come
soddisfazione. Lo spettacolare esprime la fede in quella energia, è
un grido di gioia, una dichiarazione di ricchezza. E’ almeno
l’inizio dell’arte”. Anche qualcosa in più.
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