Azione, ritmo, velocità: con Transamerica Express esordisce una scrittrice che ha capito fin dal primo romanzo quali sono gli elementi basilari per tenere il lettore incollato ad un libro dalla prima all’ultima pagina. Una dimensione più necessaria, che utile. Ventisette anni all’epoca, una biografia fatta di lavori più o meno occasionali, residenza un po’ decentrata a Missoula, nel Montana, Jenny Siler non perde tempo ad inventare improbabili linguaggi generazionali, non si trastulla con le parole e sceglie cadenze marcate, frasi brevi e secche, descrizioni essenziali per raccontare i viaggi di Allie, professione corriere. Con la differenza che i suoi (preoccupanti) clienti non firmano fatture e ricevute: il più delle volte si accontentano di sparargli addosso, e questo vedendo le credenziali di Allie, una che cerca di cavarsela anche in condizioni impossibili, può anche andare. I problemi cominciano, in Transamerica Express, quando decidono di fare terra bruciata attorno a lei perché l’ultima consegna potrebbe aprire uno squarcio dagli esiti insondabili nel passato di troppa gente, abituata a giocare duro e sporco. Figurarsi se Allie, una protagonista che risulta subito simpatica, ci sta a vedersi ammazzare amici e parenti in mezza America: quando parte alla riscossa, i risultati si possono immaginare senza tanti voli pindarici. Non sarà mai un capolavoro, Transamerica Express, e non è ancora abbastanza definito ed esplicito nello spiegare chi è e cosa può diventare Jenny Siler, ma è un libro che si legge di corsa, fedele agli standard dei noir e di tanti road movie. Allie è sempre sulla strada con due o tre pistole nascoste in macchina (e considerate le condizioni del suo viaggio, non sono proprio relative), ma chi legge si trova subito a suo agio tra le pagine, riconoscendo schemi ben noti eppure risolti con insolita freschezza. Qualcosa in più si vede quando Jenny Siler annota le riflessioni della sua eroina, postino illegale in un mondo che non sopporta. L’esternazione di Allie è scoppiettante e spigolosa: “Di tutta la merda che devo sopportare quando lavoro, contatti casinisti, pacchi con roba mancante, sbirri, la cosa più difficile da affrontare è la tipica famiglia americana. Una volta lasciata la costa e aggredito il ventre del paese, i grandi, ciechi stati centrali con le loro chiese formato granaio e cibo che non sa di nulla, è difficile sfuggire alla morsa di un’inquietante normalità”. L’argomento, va da sé, merita ricerche più approfondite ed è chiaro che non sarà mai Jenny Siler a scovare una qualche risposta o a fornire altri livelli di lettura: il ritmo forsennato di Transamerica Express non concede né lo spazio né il tempo talmente è concentrato sulla storia e sulla strada (che in gran parte coincidono) e sulla vita “on the wrong side of the road” di Allie. Chiedere di più a lei, a Jenny Siler o a Transamerica Express non sarebbe giusto: per quanto semplici e marginale, semplice sono più concreti di tanta pseudonarrativa che non riesce a far altro che parlarsi addosso.
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