C’era una volta gli americani contiene più di un libro: oltre alle storie delle famiglie famiglie americane, i Dehning e gli Hersland, e alle logiche e conseguenti divagazioni sulla natura stessa dell’America, è un tessuto ricettivo su cui Gertrude Stein sperimenta una forma di romanzo coraggiosa, se non proprio rivoluzionaria, innestando elementi su elementi, materia dentro materia, strati dopo strati. Il suo è nello stesso tempo un “making of Americans” usando la scrittura e l’autocelebrazione di una voce unica, singolare, poliedrica e ricchissima. L’assimilazione delle storie avviene con un processo circolare ed evoluto che parte da una comprensione filosofica del tempo (“E così visto che il nostro modo di pensare è questo e non possiamo farci niente, nelle nostre storie i nostri antenati saranno uomini e donne avanti con gli anni oppure bambini appena nati o ragazzini. E dentro di noi saremo sempre noi gli uomini e le donne nel fiore degli anni”) e arriva alla plateale considerazione che “sì, siamo bambini molto piccoli quando cominciamo a vederci come uomini e donne adulti”. L’alfa e l’omega di C’era una volta gli Americani stanno proprio nei tentativi di circoscrivere le storie da un punto di vista temporale, quasi a voler identificare uno standard, un classico che Gertrude Stein riassume in effetti così: “Più uno guarda la gente sia pure di sfuggita e più fondata ha la sensazione che verrà un giorno in cui avremo una storia che comprenderà tutti quanti e tutti i tipi esistenti di uomini e donne”. C’era una volta gli americani si avvicina moltissimo a quel libro, anche se in realtà è una fenomenale introduzione ai misteri gaudiosi della lettura e della scrittura, che parte proprio dalla confessione di Gertrude Stein: “Scrivo per me stessa e per quelli che non conosco. Nell’unico modo in cui sono capace. Per me c’è qualcosa di vero in tutti quanti e ognuno somiglia sempre a qualcun altro. Nessuno tra quelli che io conosco vuol sapere quello che ho da dire e perciò scrivo per me stessi e per quelli che non conosco”. Il margine è molto ampio e C’era una volta gli americani è un libro che non si finisce più di esplorare proprio perché la simbiosi tra Gertrude Stein, la sua scrittura e le storie che racconta è concreta, tanto che lei stessa si scopre lettrice e dice: “E’ poi una strana sensazione quella che una prova più avanti quando scopre che c’è del vero nelle storie raccontate nei libri, come noi che una volta amavamo i libri che raccontavano storie, ci piaceva leggerli anche se non abbiamo mai veramente creduto che ci fossero dentro delle verità, e più tardi quando dalla vita stessa si traggono nuove illusioni accompagnate da una sorta di saggezza e si torna a leggere quei libri, eccole lì le cose in cui nel frattempo abbiamo imparato a credere e abbiamo subito la certezza che l’uomo o la donna che hanno scritto quei libri le cose che noi abbiamo passato tutta la vita a corrergli dietro loro le sapevano”. E’ proprio l’effetto, grandioso, che fa C’era una volta gli americani.
Caro Marco, leggo il tuo blog e...quanto mi piace! Ci interesserebbe scriverti per un'eventuale collaborazione con il nostro progetto. Nel caso fossi interessato, mandaci il tuo indirizzo email a redbox@mixtape.it, grazie per il tuo tempo ;)
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