Attorno a una tavola imbandita per una cena pantagruelica, la famiglia Raycie si appresta a salutare il figlio Lewis in partenza per l’Europa, per il classico tour di scoperta prima di affrontare le responsabilità dell’età adulta. Tra “mandorle caramellate e mentine rigate”, “cosce di tacchino in salsa piccante, pasticcio di pollo alla crema, pomodori e cetrioli affettati” e un’alluvione di sciroppo d’acero, Edith Wharton presenta con meticolosa e studiata precisione, la figura del capostipite, Halston Raycie: “Egli credeva nella primogenitura, nell’eredità, nel diritto di successione, insomma, in tutti i principi su cui si fondava la tradizione dei ricchi proprietari terrieri inglesi. Nessuno esaltava più di lui le istituzioni democratiche del paese in cui viveva, ma egli non prendeva neanche in considerazione il fatto che potessero influenzare quell’altra istituzione, più privata ma più importante, costituita dalla famiglia, a cui erano riservate tutte le sue cure e i suoi pensieri”. Circondato dai commensali provenienti dalla borghesia altolocata di New York, ormai destinata alla decadenza, il padre incarica Lewis di riportargli grandi tele barocche, destinate a un lussuoso vernissage metropolitano. La scelta dei quadri distingue anche i progetti del padre sull’unico figlio maschio nell’intento di preservare lo status delle dinastie coloniali, ormai avviato a un irreversibile declino. L’ostentazione della ricchezza, come simbolo del potere, svela il differente rapporto con l’arte, che sarà il nucleo dello scontro tra padre e figlio, ma non sarà l’unico motivo. Lo sfuggente Lewis ha già maturato altre scelte, e vorrebbe sposare Treeshy Kent, osteggiata dai genitori. Il racconto è tessuto da Edith Wharton con estrema raffinatezza nel ricamare i dettagli e, attorno a questi, le figure e i rapporti, compresa l’epifania sul Monte Bianco, grazie all’incontro con John Ruskin, il grande critico d’arte e autore di Pittori moderni, convocato in prima persona per dare peso e forma alla svolta di Falsa partenza. Qui Edith Wharton sfrutta anche un riscontro storico, perché John Ruskin, è stato effettivamente in Italia nel 1845, arricchendo Falsa partenza di un particolare significativo. Dimenticati Sassoferrato, Guido Reni, Carlo Dolce, Spagnoletto, Capraci e Raffaello, Lewis si dedica ai cosiddetti primitivi italiani e comincia ad acquistare piccole opere del Trecento e del Quattrocento, attratto dal loro intrinseco misticismo, così evidenziato da Edith Wharton: “Era un mondo di fiaba quello in cui viveva, popolato da giovani flessuosi e da fanciulle con le guance tonde e le labbra sporgenti, da uomini anziani dall’incarnato roseo e da mori color dell’oro brunito, da graziosi uccellini, gatti e rosicchianti coniglietti, il tutto avviluppato da un intrico di balaustre dorate, colonnati rosa e azzurri, ghirlande di lauro che pendevano a festoni da balconi d’avorio, cupole e minareti che si stagliavano contro il mare estivo”. I quadri recuperati da Lewis saranno descritti in seguito come “una delle collezioni di primitivi italiani più belle del mondo”, che comprende l’Adorazione di Macrino d’Alba, San Giorgio del Carpaccio, Giotto, Mantegna, Piero della Francesca e che nella definizione di Daniel Arasse in L’uomo in prospettiva mostravano “una nuova formula di figurazione del mondo e dell’uomo, fondata su una coscienza progressiva delle proprie dimensioni storiche e che talvolta si configura come un appello a farsi carico della storia nel suo insieme”. Si capisce perché, a quel punto, la diatriba nella famiglia Raycie, che diventa devastante nel finale di Falsa partenza, non sia solo estetica, e generazionale: è una perfetta miniatura di Edith Wharton che, con grande eleganza, racconta la dissoluzione di un’intera epoca.
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