C’è un’idea di famiglia e di sussistenza alla fonte dei luoghi e delle comunità di Wendell Berry che è determinante per la sostenibilità di un “paesaggio economico” dove “le persone devono sentire che la terra appartiene loro e che loro appartengono alla terra”, integrando e superando i limiti del concetto stesso di proprietà. La tesi fondamentale di Wendell Berry è che “in un’economia locale solida, dove produttori e consumatori sono contigui, la natura diventa il criterio del lavoro e della produzione. I consumatori che comprendono la propria economia non saranno più disposti a tollerare la distruzione del suolo, dell’ecosistema o del bacino idrografico, come se fossero semplici costi di produzione. Soltanto un’economia locale sana è in grado di tenere insieme natura e lavoro nella consapevolezza della comunità”. La fiducia in questa associazione è ribadita spesso da Wendell Berry che si premura di chiarire con precisione che “quando parliamo di comunità parliamo dunque di un legame complesso non soltanto tra esseri umani, o tra umani e terra cui appartengono, ma anche tra economia umana e natura, tra foresta o prateria e campo o frutteto, e tra creature dannose e creature utili. Un legame che comprende tutti i nostri vicini”. Senza nulla togliere all’identità di ogni singola individualità: l’ideale per Wendell Berry non è la struttura collettiva del kolchoz o del kibbutz, ma un sistema dove “la premura più costante e impegnativa dell’agricoltura quando presa con serietà, è rappresentata dalla chiara unicità di ogni fattoria, ogni campo, ogni famiglia e ogni creatura al suo interno. Quando il lavoro degli agricoltori conosce e rispetta l’individualità del luogo in cui abitano e l’insieme delle creature che ci vivono, l’agricoltura diventa un’arte raffinata”. Non c’è alcun dubbio, e Wendell Berry ricorda che “il nostro rapporto con la terra è governato da una serie di condizioni e limiti che non sono stabiliti dal capriccio di qualcuno, ma dalla natura stessa e dall’indole umana”. Difendere questo equilibrio, significa prendere atto che “tutti i luoghi sono diversi tra loro, e dunque è necessario agire con un’attenzione particolare per ciascuno di essi; che la capacità di mostrare rispetto e attenzione pratica per ogni luogo della sua differenza rappresenta una forma di libertà; e che l’incapacità di farlo costituisce una forma di tirannia”. L’avversione di Wendell Berry per le logiche industriali è fondata e si costituisce a partire dalla solida utopia delle limitate dimensioni delle fattorie a conduzione famigliare e di strumenti in grado di rispettare gli uomini e l’ambiente. La sua “immaginazione in atto” ha pure dei limiti e Wendell Berry ne è consapevole (“Ciò che conosco non fornisce una piena o adeguata descrizione di ciò che ho immaginato”) ma d’altra parte il pensiero industriale è inesorabile e “le pretese di produttività, redditività ed efficienza, di crescita, benessere economico, potere, meccanizzazione e automazione senza limiti, per un certo tempo possono arricchire e conferire autorità ai pochi, ma prima o poi ci distruggeranno tutti. Quando si tratta di misurare il livello di prosperità e di benessere di un paese, valori come quelli espressi dal PIL e dai bilanci delle aziende sono del tutto privi di significato”. Gli effetti sono ineluttabili tanto nella gestione delle risorse quanto nell’espressione finale dell’essenza in sé dato che “l’utilizzo ignorante della conoscenza consente al potere di trascurare le questioni di scala, perché non tiene alcun conto del rispetto per l’integrità degli ecosistemi locali, rispetto che, solo, può determinare la scala appropriata dell’intervento umano. Senza dimensioni appropriate, e senza l’accettazione dei limiti che comportano, non può esistere forma: e qui scienza e arte convengono. Viviamo e prosperiamo grazie alla forma, che rappresenta la capacità delle creature e degli oggetti di essere compiuti entro adeguati limiti. Senza limiti formali, il potere diventa necessariamente smodato e distruttivo”. Tra i limiti conclamati del pensiero industriale e i migliori auspici per una “vita consapevole di sé stessa”, Wendell Berry si rende conto che il punto di partenza è la convinzione che “dobbiamo imparare di nuovo a guardare il mondo così com’è”, e nel superare La strada dell’ignoranza attinge a Virgilio, Edmund Spenser, William Shakespeare, Alexander Pope, Thomas Jefferson, Russell Smith, Liberty Hyde Bailey, Albert Howard, Wes Jackson e John Todd, ben sapendo che “la scrittura, come prodotto dell’immaginazione, nasce da un impulso a trascendere i limiti dell’esperienza o della conoscenza empirica per dare origine a qualcosa di compiuto”. L’obiettivo pragmatico resta “una profonda cura nell’uso della terra e una democrazia politica basata sull’imprescindibile fondamento della democrazia economica”, ma la sua concretezza, che Wendell Berry non dimentica nemmeno per un istante, non toglie la certezza che “senza dubbio, in molti di noi, da qualche parte alberga ancora l’insopprimibile desiderio umano di morire in un mondo nel quale abbiamo vissuto con gioia. E a dispetto delle tante prove del contrario, disponiamo ancora di una certa dose di saggezza. Sappiamo ancora pensare, se ci prendiamo la pena di farlo. Se vediamo con chiarezza chi, che cosa e dove siamo, e sappiamo mantenere il nostro lavoro su una scala sufficientemente ridotta, siamo ancora in grado di pensare in modo responsabile”. È un anelito che si lascia La strada dell’ignoranza alle spalle e va un po’ oltre i confini della fattoria e della comunità. Un indirizzo che è ben presente a Wendell Berry: “Per noi umani esiste sempre un altro elemento, l’ignoto, le cose che forse avremmo bisogno di conoscere, e che non conosciamo e non conosceremo mai. Esiste il mistero. Per quanto ovvio, dimentichiamo facilmente che oltre tutte le scienze e le arti, oltre tutta la tecnologia e il linguaggio, esiste la realtà irriducibile del nostro prezioso mondo, che finora, in un modo o nell’altro, ha sostenuto le nostre esigenze e accolto la nostra vita, e di cui continueremo sempre a sapere pericolosamente poco”. Niente di utopico: un po’ di umiltà, un po’ di rispetto.
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