Dentro le urla di terrore di Lovecraft si svela un irrinunciabile bisogno di altri mondi perché, come scriveva in La chiave d’argento, “la vita non è nient’altro che una teoria di immagini nella mente, che non c’è differenza fra quelle nate dalle cose reali e quelle scaturite da sogni segreti, e che non c’è motivo di ritenere più vere le prime delle seconde”. È una concezione che ritorna spesso, ribadita nella sua essenza (“A volte penso che questa esistenza meno materiale sia quella autentica e che la nostra vana presenza sul globo terracqueo sia di per sé un fenomeno secondario o puramente virtuale”) e precisata nella dimensione onirica., Oltre il muro del sonno, “una sfera d’esistenza mentale non meno importante di quella fisica, e tuttavia separata da quest’ultima per mezzo di una barriera impenetrabile”. Spalancando le porte di sogni e incubi (soprattutto) Lovecraft si permette di superare il “puerile simbolismo” di Freud e ricorda, in conclusione, a L’oceano di notte, che “nei sogni e nelle visioni si nascondono le più grandi creazioni dell’uomo, perché le linee e i colori di cui sono fatte non rispettano alcun obbligo. Scene dimenticate e terre più misteriose dei mondi incantati dell’infanzia balzano nella mente addormentata, dove regnano finché il risveglio le distrugge. È in mezzo a esse che possiamo conquistare un po’ della gloria e della felicità cui aspiriamo”. Il Necronomicon prende forma proprio lì, in quella terra di nessuno, tracciando le distanze e i legami tra “uomo” e “cosa”, ovvero “mille forme orrende” come le chiama in La dichiarazione di Randolph Carter, Innominabile). Questo perché, come si scopre in La verità del defunto Arthur Jermyn e la sua famiglia, “la vita è una cosa orribile e dietro le nostre esigue conoscenze si affacciano sinistri barlumi di verità che la rendono ancora più mostruosa”. Il senso della scoperta e dell’avventura in Lovecraft è una vocazione per l’ignoto, per sporgersi, come dice in L’estraneo, “pericolosamente oltre”. Nonostante le indicazioni e le precisazioni, le dimensioni temporali tendono a farsi sfuggenti, non meno di quelle architettoniche. I labirinti di città arcaiche, interi universi “di sostanza impalpabile”, la corsa verso il West o, più spesso, le ombre del New England sono soltanto le stazioni del Necronomicon che portano verso “altrove”, in direzioni infinite. Il potere del libro mascherato nella sua formula magica del “grimorio” e dall’arcaica provenienza offre il contenitore ideale per la visione di Lovecraft ed è come una bussola per orientarsi nei meandri delle sue costruzioni oniriche e per giungere alla “meraviglia del riconoscimento”. Gli elementi che ritornano sono la profondità, l’oscurità, la natura informe o deforme delle “entità”, la repentina mutazione di antiche civiltà e dei loro rituali, la deformità e la diversità, ciò che è “innominabile” e quindi “un terrore vago e indefinibile, quello che va con il meraviglioso e il senso del mistero”, come spiega in La musica di Erich Zann. C’è sempre un canto, una melodia, un suono stridente a sottolineare l’arrivo di entità luminose e orrende, a evocare “un lontano universo dell’immaginazione”, a delimitare Gli spazi attigui al reale, dove “lo shock più tremendo è quello che combina l’effetto dell’imprevisto con quello dell’incredibile”. Eppure scrutandoli con attenzione, e con cautela, i racconti del Necronomicon sono molto meno esoterici di quanto vogliano apparire. Da una parte, come si legge in Un’illustrazione e una vecchia casa, esprimono “potere, solitudine, senso del grottesco e superstizione”, dall’altra Lovecraft dice che “i nostri canali sensoriali sono pochissimi e degli oggetti che ci stanno intorno abbiamo una percezione quanto mai ristretta. Vediamo le cose come ci è permesso di vederle e non possiamo farci nessuna idea della loro realtà assoluta”. È la curiosità la leva che spinge i personaggi di Lovecraft e il popolo dei suoi alter ego a convincerci che “Le cose viste con l’occhio interiore, come le scene che appaiono quanto stiamo per scivolare nel sonno, sono più vivide e dense di significato in quella forma di quando tentiamo di amalgamarle alla realtà. Descrivi un sogno con la penna, e il colore scomparirà. L’inchiostro di cui ci serviamo dev’essere diluito con una sostanza che contiene una percentuale troppo alta di realtà, e in definitiva, ci scopriamo incapaci di esprimere l’incredibile ricordo”. Senza dubbio la visione, la percezione di altri mondi e l’invenzione del libro dentro il libro, rendono il Necronomicon un’enciclopedia della morte, ma alla fine “il senso ultimo della tragedia resta ignoto”. Entrando nelle sue torbide pagine “sfideremo il tempo, lo spazio, le dimensioni, e senza muovere un dito guarderemo al fondo della creazione”. Quello creato da Lovecraft è un orrore che si può controllare, una cura omeopatica per la paura in tutte le sue declinazioni, con la promessa che, una volta arrivati alla fine di Necronomicon, “finalmente capiremo perché i cani abbaiano nel buio e cosa fa rizzare le orecchie ai gatti dopo mezzanotte”. L’ironia è compresa nel prezzo, un sano brivido è assicurato, non usatelo mai dopo il tramonto.
Nessun commento:
Posta un commento