Non c’è rimedio contro l’amore, e nemmeno per la sua assenza. In fondo a una lunga stagione di relazioni, comprensiva di fidanzati provvisori e sfuggenti, nonché di un matrimonio naufragato per inerzia, J si ritrova nella caratteristica condizione di “no love”. Trent’anni di disastri con gli uomini” e dopo un mese trascorso in un ultimo tentativo di convivenza, è in transito, si ritrova a scrutare un “cielo di ioni danzanti” e a considerare le curve del limbo a cui è giunta. J alias Jane Alison tiene un registro lineare, quasi un diario, con Ovidio che non è soltanto il suo lavoro, ma una forma di pensiero ricorrente. È utile ricordare che il Leopardi diceva che “l’arte di Ovidio di metter le cose sotto gli occhi, non si chiama efficacia, ma pertinacia”. La convinzione, l’ostinazione e la persistenza con cui J rimane a metà strada nel suo tentativo di rendersi indipendente dall’amore (e dal sesso) sono gli elementi vitali che determinano il ritmo del suo soggiorno a Miami. Imprigionata in un condominio che ricorda da vicino quelli degli incubi ballardiani, disturbi della quiete pubblica e piscina a forma di clessidra compresi nel prezzo, l’esilio di J una scelta che è un limite in sé, ma che si apre su una vastità tutta da esplorare. Miami è “uno scenario” mutevole che incastra la vita notturna e l’angolo di riposo dell’età avanzata, la solitudine e la folla in continuo movimento, un assurdo brulicare di colori sgargianti, la speculazione edilizia e lo splendore della wilderness tropicale dove, e qui, sì, è bene ricordare Ovidio,“tutto si trasforma, nulla perisce. Lo spirito vaga e da lì viene qui e da qui va lì e s’infila in qualsiasi colpo, e dagli animali passa nei corpi umani e da noi negli animali e mai si consuma”. Tra iguana, opossum, mante, tarponi, squali e altri predatori, le forme della Metamorfosi e quelle che popolano il golfo di Biscayne tendono a sovrapporsi, al punto che J si ritrova a identificarsi in un’anatra “sbrancata”, che prova ad aiutare (senza successi degni di nota) in un habitat che non è né naturale né artificiale. L’anatra bisognosa e comunque inafferrabile ha una logica solidissima. In un mondo immerso nella salamoia dell’incomunicabilità, con gli uomini come “inutili reperti storici” di legami traballanti e punteggiati dal sesso (e nient’altro) e con le persone che si chiamano N, M, P, K, gli unici appigli nella routine di J (oltre a Ovidio) rimangono Buster, il gatto cieco e magrissimo e incontinente, e la madre con cui si scambia messaggi a distanza. Sono soltanto minuscole particelle in un intenso traffico di “ioni”, una delle parole più usate da Jane Alison, e dunque valida metafora di entità derivanti da un processo di scambio, di accumulo, di abbandono o di collisione. L’eziologia dell’amore secondo J si scontra con “la gigantesca ragazza di luce che balla a ovest della baia, e il suo compagno, il gigantesco orologio a est”, simboli che irradiano e sovrastano la solitudine al ristorante nel ventunesimo secolo, a cui ben si adattano le parole di Ovidio: “E poiché ormai mi sono slanciato su questo vasto mare e corro a vele spiegate col vento in poppa: in tutto il mondo non c’è cosa che duri. Tutto scorre, e ogni fenomeno ha forme errabonde”. C’è una leggerezza, molto pop e molto attraente nello stile di Jane Alison, ma nella promiscuità di Miami prendono forma, inequivocabili, i fasti del canone americano. Per quanto disposti su piani sfalsati e mimetizzati tra colori sgargianti e miraggi remoti, i quattro simboli ricorrenti identificati a suo tempo da Harold Bloom ci sono tutti: mare, madre, notte, morte. L’amore, un’altra volta.
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