L’eco
di Coney Island Of The Mind
è sempre forte e qui si trasforma quasi in una chiamata del destino.
A distanza di trent’anni, Un luna
park del cuore torna a ricordarci
che “il presente è un accidente che si protrae e si protrae nel
futuro” e le poesie sono istantanee che rubano il tempo. E’ il
1997 e le allegorie di Lawrence Ferlinghetti lo conducono verso le
proprie radici “e avendo perso il senso del posto da cui
provenivo, con l’amnesia dell’immigrante percorsi in lungo e in
largo la faccia estroversa dell’America, ma non importa dove abbia
vagato, fuori da ogni mappa, ancora mi piacerebbe ritrovare quel
posto perso, dove potrei salire un’altra volta su un metrò
domenicale per chissà quale Far Rockaway del cuore”. Il ritorno è
reale, oltre che poetico, come annoterà negli Appunti di diario,
New York, 2 marzo 1997, poi raccolti in Scrivendo sulla
strada: “Sul mio certificato di nascita c’è scritto 106,
Saratoga Avenue Yonkers... Prendo il treno fino
alla 168ª strada, poi l’uno e continuo sulla sopraelevata fino a
Van Cortlandt Park, poi un autobus fino a South Yonkers. E’ solo un
miglio, o poco più, lungo il lato ovest del parco fino a Caryl
Avenue. Scendo lì, seguendo il vago consiglio dell’autista nero
che indica gesticolando la direzione in cui pensa possa essere
Saratoga Avenue... E allora un miglio a piedi in salita, oltre
isolati di condomini con i propri giorni migliori alle spalle. Ed
ecco la fine di Saratoga Avenue, con un negozietto a conduzione
familiare. Ne esce un vecchio bianco con una bottiglia in un
sacchetto di carta. Mi attraverso con lo sguardo come se fossi parte
della strada e fossi lì da sempre. (Forse è così)”. Nel clima
crepuscolare di fin de siècle, Lawrence Ferlinghetti affronta “la
febbre dell’efferata vita di città” ed è come se
“nell’alluvione degli anni” lo stupore fosse rimasto
intatto con “il sogno immenso” sopravvissuto all’esilio.
Il luna park del cuore
si accende ancora una volta, i versi sgorgano (“Tutte le
persone della tua vita in una casa di notte luci tutte accese come un
transatlantico in alto mare”) “e ogni poesia e ogni quadro una
sorpresa stimolante per occhio e cuore, qualcosa che ti sveglia di
colpo dal sonno immemore del vivere in un lampo di epifania pura in
cui tutto è immobile in luce adamantina, fissato, rivelato, per ciò
che davvero è in tutto il suo mistero”. Non ci sono solo luminarie
e fuochi d’artificio: è anche un momento di riflessione perché
Lawrence Ferlinghetti ha ormai un’età in cui “era troppo tardi
per farci nulla tranne crederci o dubitarne” e sa che “il poeta
scandagliando l’ignoto come un peschereccio d’alto mare va a
pesca di immagini primigenie con reti di parole per catturare
l’ultima lingua franca in libertà il pesce cieco del
destino dell’uomo”. Lo fa anche con la certezza, per niente
scoraggiante, che “intanto l’acqua fluisce e canta fra le chiuse
della vita quotidiana”: è una maturità che non toglie nulla allo
spirito (indomito) di Lawrence Ferlinghetti e Il luna park del
cuore è anche l’occasione per ricordare che “il mondo non
sta per finire per mancanza di luce” e “comunque la storia non è
in realtà storia fino a quando non è riscritta”. Lo sguardo a est
vede solo l’oceano, a ovest la strada, e in mezzo resta “un
attimo di silenzio, e un attimo di epifania, un attimo di estasi, un
attimo di follia, e un attimo di silenzio”, un luna park che non si
ferma mai.
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